Franz Rosenzweig, il dialogo arma per capire la società
Un grande filosofo del ‘900, il cui pensiero in questi ultimi anni è stato riscoperto, anche grazie alla promozione di rilevanti convegni internazionali come quello che sta avendo luogo a Roma in questi giorni. L’opera di Franz Rosenzweig, in un periodo in cui i conflitti di matrice religiosa sono esacerbati e in cui venti nazionalisti, quando non apertamente razzisti, spirano in Europa e nel mondo, viene oggi riscoperta: perché il suo pensiero, e la sua stessa biografia, sono esemplari di un percorso di proficuo dialogo e confronto, tra ebraismo e cristianesimo ma non solo, e della possibilità di conciliare e far convivere nella persona più tratti identitari.
Franz Rosenzweig nasce il 25 dicembre 1886 a Kessel, in quella Germania guglielmina in pieno sviluppo in cui gli ebrei, acquisiti con l’emancipazione i diritti di cittadinanza, si stavano pienamente integrando nella società.
Rampollo di una famiglia appartenente all’emergente borghesia ebraica, nel 1905 inizia a studiare medicina, frequentando lezioni a Gottinga, Monaco e Friburgo, per passare poi agli studi di filosofia. Fino al periodo della sua dissertazione di laurea su Hegel e lo Stato, nel 1913, Rosenzweig è affascinato dalla teologia cristiana, e frequenta gruppi di studenti ebrei che si stanno avviando alla conversione, alla quale anche lui si avvicina. Deciderà poi, negli anni successivi, dopo un complesso percorso di ricerca interiore e filosofica, di rimanere nella sua originaria appartenenza, facendo teshuvà; ma questa tensione e connessione tra le due fedi diverrà uno dei temi centrali della sua riflessione filosofica.
Con lo scoppio della prima guerra mondiale Rosenzweig, che sentiva radicale il suo legame con la patria tedesca, si arruola volontario nell’esercito, vivendo in prima linea, in Belgio, in Francia e poi nel Balcani, la drammatica esperienza delle trincee, prestando opera di soccorso medico nella Croce Rossa.
Durante la guerra il filosofo mette a fuoco il nucleo della sua opera principale, La stella della redenzione, che scaturisce in gran parte da lettere e appunti scritti nelle pause tra i combattimenti, e che pubblicherà nel 1921.
L’opera è una profonda riflessione filosofico-teologica, che muove proprio dall’esperienza della guerra, e che tratta la relazione dell’essere umano con l’eterno, il rapporto dialettico (e le differenze) tra ebraismo e cristianesimo, scorgendo dietro la condizione ebraica l’essenza dell’umanità, in bilico tra finito ed eterno.
“L’opera – leggiamo nell’introduzione al convegno romano – vuole dare una risposta filosofica al dramma della situazione (la guerra, ndr), proponendo all’essere umano quella via indicata dall’amore e dalla rivelazione che porta a Dio partendo però dal dialogo inter-umano, dalle relazioni sociali fra gli individui in un percorso fatto di incontri orientati verso l’unica destinazione dell’amore divino.”
Dopo la guerra, Rosenzweig si concentrerà sempre di più sulla promozione della cultura ebraica. Nel 1920 fonda a Francoforte un istituto superiore di studi ebraici, il Freies Jüdisches Lehraus, intessendo relazioni con i più importanti esponenti di quella grande fucina di pensatori che fu la scuola di Francoforte, tra cui Theodor W. Adorno e Herbert Marcuse. Un percorso di approfondimento, conoscenza e divulgazione della cultura ebraica che negli anni diventerà centrale nella sua attività, e che lo porterà ad approcciarsi a delle traduzioni di testi ebraici in tedesco, in particolare le opere del pensatore medievale Yehudah Ha-Lewi e, in collaborazione con il filosofo Martin Buber, la Scrittura, la Torah: e, in rapporto con la sua filosofia, la traduzione “diventa metafora della dialogicità propria di ogni essere umano, per mezzo della quale ciascuno può scoprirsi nell’intima relazione con l’altro e con il diverso.”
All’inizio degli anni ’20 Rosenzweig si ammala di una grave forma di sclerosi, che lo porterà gradualmente alla paralisi. Le sue condizioni fisiche non gli impediranno però di continuare febbrilmente il suo lavoro culturale, fino alla prematura scomparsa, avvenuta a Francoforte sul Meno il 10 dicembre 1929.
“L’instancabile devozione per la ricerca della verità e la fatica del sapere fanno di lui un pensatore classico per la portata speculativa dei suoi pensieri, e lungimirante per la capacità profetica delle sue intuizioni e degli argomenti da lui affrontati”, si legge ancora nell’introduzione al suo pensiero, realizzata per il convegno romano.
Il filosofo del dialogo, della relazione con l’altro, del confronto tra diverse tradizioni e fedi, non assisterà dunque all’affermarsi del nazismo nella sua amata Germania, ideologia totalitaria del tutto agli antipodi rispetto al suo pensiero universalista, aperto, multiculturale, inclusivo. Ma è facile immaginare cosa ne avrebbe pensato.
Marco Di Porto
(21 febbraio 2017)