…interpretazione
C’è una frase della Mishnàh (Pirké Avoth 2:16) che mi ha sempre intrigato: “Non spetta a te [non è tua responsabilità] portare a termine l’opera, ma non sei libero [/non hai il diritto] di astenertene [di esentartene]”.
Nella fretta dettata dalla volontà/necessità di comprendere, se ne coglie l’invito consolatorio a non demoralizzarsi se non si riesce a finire ciò a cui ci si applica, qualcun altro lo finirà, o almeno continuerà ad applicarsi a quell’opera nell’intento di proseguire il percorso e portarla in direzione del suo compimento. Suona come un’assoluzione, ossia: non preoccuparti per le difficoltà del compito a cui ti accingi, ma fa’ lo stesso la tua parte. Potrebbe, tuttavia, essere anche un monito e indicare un limite, forse dice, infatti, di non pretendere a tutti i costi di portare a termine il compito. Forse non spetta a te, e pretendere di farlo sarebbe un grave atto di arroganza.
Già portare a termine l’atto di interpretazione di questo pensiero sembra impossibile. Si rimane di fronte al bivio senza riuscire a decidere quale dei due percorsi prendere. Imboccare l’uno significa rinunciare all’altro, per sempre. È meglio continuare a guardare le due strade e sognare due itinerari diversi. Ma questo significa bloccarsi e sottrarsi al cammino. Un altro bivio, dunque.
Probabilmente il testo si riferisce allo studio della Torah, che si intraprende senza pensare a una sua conclusione, che si porta avanti senza un fine specifico che non sia quello dello studio in sé. Eppure sembra anche affermare e intimare che devi lasciare spazio perché anche altri diano il loro necessario contributo. Il tuo operare da solo non porterebbe ad altro che a una visione solipsistica della realtà.
Al Pirké Avoth sembrano non piacere i monologhi. Sembra che il suo pensiero sia rivolto, oltre che allo studio della Torah e all’operare generale al servizio di Dio e dell’umanità, alle modalità dei rapporti da intrattenere con il prossimo. Alle modalità di comunicazione, anche, e alla ricerca infinita delle nostre rispettive, piccole verità. Nessuno raggiunge alcun obiettivo, alcuna verità nel puro ascolto di se stesso. Per raggiungere una meta non resta che ascoltare l’altro e confrontarsi con lui, all’infinito. Anche a costo di doversi impegnare in dialoghi sfinenti, che non portano da nessuna parte; anche a costo di dover smentire che il bicarbonato e il limone facciano bene alla salute e che l’astensione dagli zuccheri e dai carboidrati sconfigga il cancro.
Così, il Pirké Avoth suscita due diverse e contrapposte reazioni: a “Non spetta a te portare a termine l’opera” viene spontaneo rispondere con sollievo: “Meno male!”, mentre “ma non sei libero di astenertene” ti strappa un contrariato “peccato!”.
Dario Calimani, Università Ca’ Foscari Venezia
(21 febbraio 2017)