Rispetto

Sara Valentina Di PalmaRicordo il tempo delle scelte, una nuova famiglia in costruzione, una nuova città: tra il serio e il faceto, dicevo, mi trasferisco qui perché questo è il centro del mondo.
Di sicuro, il centro di una vita culturale fervida e vivace, in cui avendo tempo a disposizione, tra lezioni di musica, nuoto, Talmud Torà a quaranta chilometri di distanza e ogni tanto un po’ di lavoro, si potrebbero infilare almeno due presentazioni di libri a settimana, un paio di mostre nuove al mese, rassegne teatrali ed incontri in biblioteca per bambini ogni stagione. Purtroppo tocca selezionare e scegliere, non solo come utenti, ma ancora più difficile, di cosa poter fare parte.
Una parola, tra tutte, mi ha colpito, di quelle scelte da Adam Smulevich per descrivere il lavoro di Assaf Gavron, invitato da noi al Museo Marini Marini di Pistoia lo scorso 18 febbraio motzé Shabbat, nell’ambito della nuova rassegna Balabrunch ideata da Laura Forti ed Enrico Fink presso la Comunità fiorentina.
Lo scrittore israeliano lascia trasparire, penso, la compostezza delle sue origini inglesi: tiene a precisare che ha idee politiche molto chiare, espresse in diverse circostanze (interviste comprese) ma mai esplicitate nei suoi libri, perché ritiene che altro sia il compito della letteratura.
Ciò non significa che l’arte debba disinteressarsi alla res publica ed esimersi dal veicolare un messaggio etico il quale, più che essere imposto con una presa di posizione netta, si plasma attraverso la sottile satira con cui sono tratteggiati personaggi ed accanimenti.
Che si tratti della questione palestinese, piuttosto che delle molteplici identità israeliano, e tra queste in particolare quelle ebraico-israeliane, o dell’assetto complessivo mediorientale in relazione a questioni delicate come quella delle riserve idriche e dei diritti elementari, Gavron guarda all’altro da sé (un palestinese di un villaggio nella West Bank, un cittadino arabo israeliano, un haredi, un chozer beTeshuvà ovvero un ex laico divenuto religioso, e così via) con estrema attenzione e cautela.
I suoi personaggi, anche quelli più lontani dal suo credo politico e dalle sue convinzioni personali, sono descritti facendo emergere sensibilità e ragioni, guardando a ritroso da dove sono partiti per arrivare ad essere ciò che sono.
Questo è il caso, tra gli altri, degli abitanti de La collina. Nonostante sia chiaro che gli insediamenti israeliani nella West Bank (con cittadini israeliani che vivono fuori dai confini legalmente riconosciuti dallo stato di Israele stesso) costituiscono una sfida alla convivenza, alle istituzioni, a qualsiasi ipotesi di accordo di pace, tra loro ci viene ricordato come vi siano anche persone ordinarie la cui unica follia è pensare di poter condurre una vita normale in una situazione straordinaria, e che senza essere tutti pazzi fanatici quali l’esasperata semplificazione mediatica acriticamente ci propina nei suoi ritratti in bianco e nero, hanno preoccupazioni non dissimili dalle nostre su come crescere i figli, tenere insieme un matrimonio, lavorare, accogliere il riposo del Sabato e ricominciare.
Rispetto, ecco quella parola.

Sara Valentina Di Palma

(23 febbraio 2017)