Il Giallo e la Storia

Sara Valentina Di PalmaDi Carlo Lucarelli, incontrato la scorsa domenica alla settima edizione del Festival del Giallo di Pistoia, mi affascina l’ambientazione storica di diversi suoi romanzi, sin dall’esordio con Carta bianca (edito nel 1990 da Sellerio, primo lavoro con protagonista il fortunato personaggio del commissario De Luca, il quale opera negli ultimi anni del fascismo repubblicano). Il giallo, che da domenica reca una dedica autografa ad un bambino di sei anni il quale si è presentato con il libro in mano, serio serio, per farselo firmare dallo “scrittore famoso” (piccolo premio per la quasi paziente attesa durante la conferenza), mi fa pensare all’irrisolto dilemma tra scienza ed arte – ammesso che la storia possa essere considerata una scienza, cosa su cui vi sono pareri discordi, come rifletteva già Marc Bloch analizzando la contrapposizione tra story e history nel suo Apologia della storia o mestiere di storico e rivendicando la legittimità della storia tra le scienze umane.
Lucarelli ha infatti tratto ispirazione dalla sua tesi di laurea in storia contemporanea sull’apparato poliziesco della Repubblica di Salò, per dare vita al suo primo romanzo la cui vicenda si svolge negli ultimi giorni del regime repubblichino. Questo periodo è probabilmente tra quelli che più interessano allo scrittore, credo, insieme ai primi anni Cinquanta su cui Lucarelli si è soffermato nell’incontro pistoiese, ricordando come un apparente caso di cronaca nera, la morte di Wilma Montesi nel 1953, sveli il primo grande giallo italiano e scandalo pubblico del dopoguerra (il caso è analizzato dallo stesso Lucarelli in Nuovi misteri d’Italia. I casi di Blu notte, Einaudi 2004).
Gli anni del fascismo e dell’immediato dopoguerra tornano non solo nei romanzi incentrati sul commissario De Luca, tra cui il recentissimo Intrigo italiano (quarto della serie) edito da Einaudi lo scorso gennaio, ma anche in lavori che hanno riscosso riconoscimenti importanti come Indagine non autorizzata, ambientato nel 1936 e vincitore nel 1993 del premio Alberto Tedeschi – dedicato all’editore, traduttore, direttore editoriale, noto soprattutto per aver diretto dal 1933 dopo Lorenzo Montano (nato Danilo Lebrecht da famiglia ebraica originaria dei Carpazi) la collana “gialli Mondadori” per gran parte della sua vita, e costretto dalle leggi razziste del 1938 ad usare il cognome materno Borio per continuare a lavorare.
Lucarelli, inserendo i suoi personaggi in una cornice storica accuratamente studiata e ricostruita, sembra confermare ciò che Carlo Ginzburg affermava provocatoriamente quando scriveva che “in un individuo mediocre, di per sé privo di rilievo e proprio per questo rappresentativo, si possono scrutare come in un microcosmo le caratteristiche di un intero strato sociale in un determinato periodo storico” (Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ‘500, Einaudi 197698, p. XIX), e alla fine non abbiamo solo letto piacevoli romanzi, ma ci siamo affacciati su un periodo particolarmente complesso della nostra storia.
E, forse, abbiamo anche risolto la vexata quaestio se sia possibile e lecito occuparsi sia di letteratura sia di ricerca e pubblicare narrativa ed al contempo saggistica, se come Lucarelli stesso, citando Malerba, ha affermato di scrivere (anche) per sapere quello che lui stesso pensa.

Sara Valentina Di Palma

(2 marzo 2017)