MEMORIA Il viaggio, l’eroismo, le anime salvate del Pentcho

Schermata 2017-03-07 alle 11.48.59E. Tromba, S.N. Sincroni, A. Sorrenti / IL VIAGGIO DEL PENTCHO / Edizioni Prometeo

Il 29 settembre scorso il Presidente della Repubblica Slovacca, Andrej Kiska, ha concesso la medaglia commemorativa in memoriam al capo nocchiere Carlo Orlandi. Il marinaio napoletano è stato insignito di questa importante onorificenza grazie agli sforzi dell’ambasciata slovacca che lo ha riconosciuto degno di tale onorificenza per l’opera di salvataggio che l’Orlandi svolse nell’ottobre del 1940. Principale motore per questo riconoscimento è stata la pubblicazione del volume Il viaggio del Pentcho – Le anime salvate (di E. Tromba – S.N. Sincroni – A. Sorrenti). Il volume, curato dal centro studi ebraici Beth Midrash e presentato nella primavera dello scorso anno presso l’Ambasciata slovacca in Roma, racconta la storia di oltre 500 ebrei dell’Europa centrale che, per sfuggire alle persecuzioni naziste, affrontarono un viaggio in battello per giungere in Palestina, nella terra dei Padri. Pentcho era il nome del battello fluviale che questo gruppo di profughi, prevalentemente slovacchi, ma anche cechi, slavi, rumeni, tedeschi, austriaci e polacchi, aveva recuperato per iniziare quel folle viaggio. Scendendo lungo il Danubio, avrebbero raggiunto il Mar Nero, poi l’Egeo ed infine in Israele. Il viaggio fu, però, estremamente difficoltoso e tribolato per diversi motivi. I vari Paesi attraversati raramente diedero un aiuto: alcuni per paura delle repressioni naziste, altri per timore di quelle inglesi; inoltre il carico umano superava abbondantemente il limite previsto; le condizioni igienico sanitarie diventavano sempre più precarie. Infine, una volta giunti in mare aperto, la situazione peggiorò ulteriormente visto che si trattava di un battello fluviale. Fu così che il Pentcho nell’ottobre del 1940, dopo cinque mesi di navigazione e di stenti, naufragò su un isolotto sperduto del mar Egeo. Gli oltre 500 ebrei naufraghi furono tratti in salvo dalla nave della Reale Marina Italiana, Camogli, guidata dal comandante Carlo Orlandi. La Camogli raggiunse l’isola di Rodi e gli sventurati si ritrovarono internati in un campo di concentramento. Dopo oltre un anno riuscirono in due momenti distinti, con un altro lungo viaggio, a giungere a Bari ed essere internati al Campo di Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza. Il libro offre al lettore l’opportunità di avere uno spaccato esatto e dettagliato della vita a Ferramonti. La presenza di decine di documenti riprodotti, lascia intendere il lavoro di ricerca che sta alla base della stesura del volume. Il viaggio del Pentcho si inserisce in un filone di ricerca ancora più vasto, iniziato con la pubblicazione (sempre degli stessi Autori) del libro Il Kaddish a Feramonti – Le anime ritrovate. Questa prima pubblicazione aveva ritrovato i documenti d’archivio di quanti avevano perso la vita a Ferramonti, iniziando a delineare la vita che si svolgeva nel campo di concentramento. Con Il viaggio del Pentcho continua questo percorso di conoscenza ed approfondimento de più grande campo di concentramento per ebrei stranieri costruito dal regime fascista. Corollario importante dell’opera è la presenza dei tantissimi documenti che gli Autori hanno rinvenuto principalmente presso l’Archivio centrale di Stato di Roma, ma anche presso vari archivi della provincia di Cosenza. La tematica affrontata nel volume è, inoltre, strettamente attuale perché si colloca in un panorama ed in un quotidiano che è molto simile a quello raccontato nel libro: allora come oggi gli uomini della Marina Italiana salvano vite in mare, senza distinzione di colore, etnia o religione. Allora come oggi, altre navi di altri stati avrebbero potuto fare qualcosa, ma solo la marina Italiana intervenne e salvò dalla morte oltre 500 uomini, donne e bambini. Dovremmo essere portavoce presso le Istituzioni statali affinché venga riconosciuto un’onorificenza. Oserei andare oltre: penso che sia doveroso riflettere con noi stessi e porci questa domanda: ma se salvare una vita significa salvare il mondo, cosa significa salvarne oltre 500? È giusto che questo atto meriti un riconoscimento a Yad Vashem. Ma il Pentcho è strettamente legato anche alla Comunità ebraica di Roma, anche se apparentemente non sembrerebbe, dato che si parla di ebrei mitteleuropei… Nella navigazione del Pentcho, quando il battello incontrò il confine tra Romania e Bulgaria si trovò in grande difficoltà. Leggendo con attenzione questo passaggio si scopre che gli ebrei furono aiutati da un vescovo e da un rabbino, il nome del rabbino è Naftali Roth. Per una strana coincidenza quel rabbino era il nonno di rav Riccardo Di Segni. L’altro importante avvenimento è che coloro che provenivano dal Pentcho, una volta giunti a Ferramonti, aprirono una nuova sinagoga, la terza, dove per ben due volte il rabbino capo di Genova, Riccardo Pacifici, si recò in visita per celebrare matrimoni e bar mitzva. Infine, tra coloro che, imbarcati sul Pentcho, troveranno la morte, compare Wald Schachne. Egli si fermerà per poco a Ferramonti, perché si ricongiungerà con il figlio Pesach a Roana. Dopo l’8 settembre entrambi si recheranno a Roma e lì verrano arrestati e uccisi alle Fosse Ardeatine. Inizialmente sarebbe stato difficile ricondurre il Pentcho alla realtà romana, ma rileggendolo con attenzione è chiaro come questa avventura appartenga alla Comunità ebraica. Una domanda spontanea: perché ancora silenzio su avvenimenti così importanti? Fortunata questa nuova generazione che ha l’opportunità di conoscere dopo 75 anni cose che non erano state ancora svelate.

BETH MIDRASH

Il Beth Midrash- Centro di Studi Ebraici del Dipartimento di Scienze Aziendali e Giuridiche dell’Università della Calabria ha come obiettivo lo studio del fenomeno dell’internamento in Italia durante la Seconda guerra Mondiale. La ricerca si basa principalmente sui documenti inediti degli archivi italiani per ricostruire i destini degli ebrei stranieri; per ricordare e far ricordare quei nomi, quelle persone, quindi, quelle vite di ebrei stranieri che hanno subito l’internamento in Italia. • Il primo lavoro di ricerca del Centro è stato Il Kaddish a Ferramonti – Le anime ritrovate (di Tromba E., Sorrenti A., Sinicropi S.), pubblicato nel settembre del 2014 e presentato dal rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni, nella Sala della Colonne del Parlamento italiano. Il Kaddish a Ferramonti è stato lo studio di quanti persero la vita nel campo di concentramento di Ferramonti, attraverso una precisa ricostruzione fatta partendo dalle carte d’archivio inedite e che hanno permesso di ritrovare ben 24 nominativi di ebrei morti nella Shoah e non registrati nel database di Yad Vashem. • Questo secondo lavoro di ricerca dal titolo Il viaggio del Pentcho – Le anime salvate, si inserisce sullo stesso filone di ricerca ed è una continuazione del lavoro sui documenti ancora inediti custoditi negli archivi italiani. “Il viaggio del Pentcho – Le anime salvate” (di Tromba E., Sorrenti A., Sinicropi S.) è l’analisi, attraverso i documenti, di un’esperienza incredibile e poco conosciuta che circa 500 ebrei vissero durante la Seconda guerra mondiale. In fuga dai loro paesi, perseguitati dal regime nazista, molti ebrei decisero di cercare la fuga via mare per giungere in Israele e raggiungere la salvezza. Il Pentcho partì il 18 maggio del 1940 da Bratislava con ebrei provenienti dai paesi dell’Europa centrale. Partiti dalla Capitale slovacca, discesero il Danubio su un battello fluviale e, dopo mille peripezie, giunsero al Mar Nero e infine al Mediterraneo. Dopo l’ennesima avaria e cinque mesi di navigazione, il battello, non adatto alla navigazione in mare aperto, naufragò presso un isolotto del mar Egeo tra il 9 ed il 10 ottobre del 1940. Una nave della Marina Italiana, il Camogli, giunse in loro aiuto e lì condusse a Rodi. Qui gli ebrei del Pentcho furono internati fino al 1942, quando vennero trasferiti nel campo di Ferramonti di Tarsia in Italia. Chi si fermò a Rodi fu mandato nei campi di sterminio ed identica sorte toccò ad alcuni di coloro che da Ferramonti si trasferirono in altri campi di concentramento. Quelli, invece, che si fermarono al campo di Ferramenti – la maggior parte fortunatamente – si salvarono. Dopo l’arrivo degli Alleati, infatti, alcuni rimasero in Italia, ma molti poterono raggiungere, con diverse spedizioni, gli Usa e Israele, dove ancora si trovano i più giovani di loro e i loro discendenti. Quella del Pentcho è una storia caratterizzata dal grande coraggio di quanti intrapresero quel viaggio che sembrava disperato, ma che con la grande forza dei protagonisti giunse, infine, a portarli alla salvezza tanto agognata. Salvezza che raggiunsero anche grazie al capitano Orlandi, comandante della nave italiana che li salvò dopo il naufragio; e grazie anche ai tanti calabresi che li nascosero dai nazisti in ritirata.

Giacomo Moscati, Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Pagine Ebraiche, febbraio 2017