ORIZZONTI Un cuscinetto tra potenze nemiche

La a decisione è stata presa. II Kurdistan marcia spedito verso l’indipendenza. Al palazzo presidenziale di Salahuddin è pronta una tesi per convincere la comunità internazionale e una road map per arrivare alla divisione dell’Iraq senza scatenare un’altra guerra civile, attraverso uno scambio fra la condivisione delle risorse naturali, il petrolio, e l’accettazione dell’autodeterminazione dei curdi da parte degli arabi: «Hanno già 22 Stati, possono lasciarne uno a noi». La tesi che circola al palazzo presidenziale di Salahuddin fa leva sui principi e i valori dell’Occidente. I curdi non potranno mai essere al sicuro finché non avranno uno Stato indipendente. Perché le leggi internazionali tutelano appieno solo le nazioni sovrane e il popolo curdo, nel mezzo della guerra civile islamica tra sciiti e sunniti che devasta l’Iraq, non può essere costretto a pagare il prezzo di un conflitto che non è il suo, una «guerra religiosa, ideologica», che dura da 1400 anni e «non finirà mai». L’obiettivo è dirompente, mettere fine all’Iraq unitario. Uno Stato «che non ha mai funzionato e non potrà mai funzionare» ed è costato ai curdi anche un massacro con armi chimiche a opera di Saddam Hussein. La road map verso l’indipendenza è però prudente, non vuole discutere i «confini internazionali», soltanto quelli interni all’Iraq. Offre al mondo un Kurdistan laico, democratico, multiconfessionale, «un cuscinetto» fra potenze sunnite e sciite, Iran, Turchia, Arabia Saudita, che darebbe stabilità al Medio Oriente. Per arrivarci bisogna passare attraverso il dialogo con il governo di Baghdad e poi un referendum. E qui arriva l’offerta: una volta indipendenti si potrà pensare a una confederazione che ridistribuisca parte delle risorse. Il Kurdistan, che ha un terzo delle riserve di petrolio dell’Iraq, è disposto a «condividere» la sua ricchezza. Prima di tutto con la componente sunnita, la più povera, la più debole dopo la caduta di Saddam, «priva di un leader unitario». E incapace di mettere a frutto le proprie risorse. II petrolio è anche la chiave per tenere la Turchia dalla propria parte. I turchi importano petrolio dal Kurdistan, in Kurdistan esportano beni di consumo, delocalizzano imprese. L’intesa fra il Kurdish democratic party (Kdp) del presidente Massoud Bar-zani e Ankara dura da trent’anni. I peshmerga del Kdp hanno aiutato l’esercito turco contro il Pkk. Un Kurdistan indipendente, è la convinzione, sarebbe accettato anche dalla Turchia. L’ostacolo vero sono gli sciiti. Favorevoli al federalismo quando erano esclusi dal potere, centralisti ora che l’hanno conquistato. La rigidità sciita è stata «una delle cause» della nascita dell’Isis. La distruzione del Califfato non risolverà il problema dell’insorgenza sunnita, pronta a riesplodere, «con altre modalità e sotto altre sigle». Qui il Kurdistan si inserisce nella dimensione regionale. In Iraq, come in Siria, l’asse sciita e l’Iran «stanno vincendo e l’Occidente sta perdendo». E i curdi non vogliono fmire «succubi» di Teheran. L’America sta facendo molti passi falsi. Compreso l’appoggio incondizionato ai curdi siriani dello Ypg per strappare Raqqa all’Isis, che rischia però di spingere la Turchia fuori dall’orbita occidentale. Lo Ypg è «la stessa cosa del Pkk». Un movimento marxista-leninista, dove non c’è spazio per idee diverse. «Trecentomila siriani» si sono rifugiati nel Kurdistan iracheno «non per sfuggire all’Isis ma allo Ypg». C’è stato un momento in cui il Kurdistan siriano, il Rojava, poteva diventare come quello iracheno, ma quell’occasione «è stata distrutta dallo Ypg». A questo punto meglio sostenere la Turchia nella corsa a Raqqa. Un’altra offerta, in fondo: indipendenza del Kurdistan iracheno, Kurdistan siriano nell’orbita di Ankara, magari con una «forza panaraba» a tutelare gli arabo-sunniti di Raqqa.

Giordano Stabile, La Stampa, 5 marzo 2017