Periscopio – Minotauro

lucreziIl problema della ricerca identitaria – intesa come percezione tanto della propria origine, quanto della propria trasformazione e destinazione -, com’è noto, si pone come una delle questioni essenziali del nostro tempo, nel quale tutte le società umane appaiono attraversate da profondi fenomeni di contaminazione, intreccio, sinecismo, capaci di rimescolare le carte, scardinare consolidate categorie, abbattere vecchi muri e innalzarne di nuovi. Ed è una tematica che, in particolare, appare tra le più trattate dalla letteratura contemporanea, che, evidentemente, cerca in essa delle possibili risposte a un senso di smarrimento e di incertezza che ci accompagna ormai da molto tempo, e di cui non si scorge una fine. Ed è anche noto come, specificamente, il tema dell’identità ebraica – con la sua peculiare capacità di persistenza, ma anche di evoluzione e mutazione – abbia dato, negli ultimi decenni, forte alimento alla narrativa e alla cinematografia europea e statunitense, che lo hanno eletto, si può dire, a uno dei terreni privilegiati di investigazione intorno alle mutevoli capacità degli uomini di essere, restare o diventare uguali, o diversi. E, come abbiamo già avuto modo di osservare, quando la logica e la razionalità appaiono in affanno, è proprio dall’arte che possono venire, a volte, dei segnali e delle luci di possibile orientamento.
Un esempio, in tale direzione, ci viene da un romanzo di recente pubblicazione, che rappresenta un contributo di pregio, capace, insieme, di toccare le corde dell’emozione, e di fare riflettere: “Il Minotauro cieco” (Dario Flaccovio Editore, Palermo, 2017), di Francesca Romana Mormile. Nel libro si narra la storia – di fantasia, ma ispirata a molti episodi reali, e sorretta da un’accurata ambientazione storica – di un matrimonio “misto”, celebrato alla vigilia delle leggi razziali, tra una ragazza ebrea romana e un giovane napoletano cattolico, nella gioia comune delle due famiglie degli sposi. La nascita della piccole Januaria, detta Ninnì, proprio nel 1938, dà sia ai genitori che alle due famiglie un’immensa gioia, ma anche – in ragione dell’addensarsi delle nere nubi sui cieli d’Italia e del mondo – un’altrettanto grande paura, per i pericoli incombenti sulla piccola Ninnì, la cui salvezza viene vista da tutti come il primo e ineludibile obiettivo. Di qui la decisione – condivisa, non senza amarezza, dai genitori e dai tre nonni viventi- di battezzare la piccola, per sottrarla alla crudele condanna che, improvvisamente, è venuta a pendere sulla sua testa. La bimba si salva, diversamente dai genitori e dai nonni materni, tutti inghiottiti dalla Shoah. Cresciuta, da cattolica, dall’unico nonno superstite – che si sforza, con vigile sollecitudine, di assicurarle una crescita il più possibile armoniosa e serena -, vede tuttavia affiorare, come relitti di un immenso naufragio, tanti disparati frammenti del suo passato, dai quali cerca non solo di decifrare il senso delle sue origini e radici, ma anche il messaggio segreto affidato a quella “vita mancata” che avrebbe potuto e dovuto vivere, e che invece le è stata rubata da una forza tanto ineluttabile quanto incomprensibile.
Il titolo del romanzo è dato da una favola – variante del mito di Teseo – che il nonno racconta alla piccola Ninnì: ferito e accecato dall’eroe, il Minotauro piange affranto nel suo labirinto, quando sente la voce di una bimba che lo invita a seguirla. “Senza lottare, senza più conferme, il Minotauro non diede ascolto al mito, perse la forza, perse ogni irruenza, vide il destino risolversi in accettazione”. Ninnì capisce, a un certo punto, che la favola esprimeva proprio il dramma del nonno: “in tutto quel tempo non si era mai mosso di un centimetro dal tunnel dal quale non sapevo più uscire, vi entrava per tenermi compagnia nei momenti peggiori, quel cunicolo umido e orribile lo conosceva bene, era il suo”. Come la bimba della favola aiuta il Minotauro, così la piccola Ninnì, alla fine, aiuterà il suo amorevole nonno a uscire dalla prigione, “a rivedere le stelle”. Riuscire, pur con il pesante fardello della memoria, a vivere la sua vita, sarà per la protagonista, anziché un atto di dimenticanza nei confronti degli scomparsi, un gesto di amore e riconoscenza, col quale la forza del ricordo e della testimonianza diventa il cemento di un’identità nuova, non chiusa, nonostante tutto, alla speranza.

Francesco Lucrezi, storico

(22 marzo 2017)