PSICOANALISI La scuola di Freud non tramonta mai
La psicoanalisi è viva, vegeta e più in forma che mai. Film, serie televisive, documentari, mostre a tema, convegni e soprattutto tanti, tanti libri, sono proposti con cadenza costante al grande pubblico e agli specialisti. Come quelli che presentiamo in questa sede, di recente edizione: il primo, un compendio sulla dottrina elaborata da Sigmund Freud scritto da Enzo Bonaventura, psicologo ebreo attivo nella prima metà del ‘900, la cui riedizione è curata dallo psicoanalista David Meghnagi; l’altro un lavoro collettaneo su psicoanalisi e fede, nel quale non poteva mancare il punto di vista ebraico, rappresentato dallo psichiatra Alberto Sonnino.
Passano i decenni, ma l’interesse per l’opera di Freud non si affievolisce, anzi. Ricerche piuttosto recenti, di cui si è occupata la stampa sia all’estero che in Italia, hanno rilevato come stia tornando in auge la modalità terapeutica lunga e complessa prevista dalla psicoanalisi, in vece delle più recenti, e negli ultimi anni assai diffuse, terapie cognitivo-comportamentali, che puntano a risolvere i problemi dei pazienti con cure brevi e mirate. Eterno dibattito sull’efficacia dell’approccio terapeutico della psicoanalisi a parte, di sicuro essa ha segnato in profondità non solo la scienza e la medicina, ma anche la cultura del ‘900, con influenze su artisti, registi, scrittori e pensatori che hanno attraversato l’intero secolo e continuano tutt’oggi.
Notoriamente, la psicoanalisi ha un profondo legame con la cultura ebraica: a cominciare dall’appartenenza del suo fondatore, ebreo viennese, membro del Bnei Brith, interessato delle Scritture e autore di un’opera, “L’uomo Mosè e la religione monoteista”, che analizza la genesi della religione mosaica, rileggendo la figura di Mosè in chiave storico-positivista, oltre che psicoanalitica.
Ma in diversi scritti Freud affrontò il suo legame con l’ebraismo, argomento esplorato in molteplici opere, anche dallo stesso David Meghnagi nel suo “Il padre e la legge. Freud e l’ebraismo”. Basti una citazione per rievocare il legame profondo che l’illustre scienziato provava per le sue radici identitarie, tratta dalla prefazione all’edizione in ebraico di “Totem e Tabù”, uscita nel 1930:
“Per nessuno dei lettori di questo libro sarà facile immedesimarsi nell’atteggiamento emotivo dell’autore, che non conosce la lingua sacra, che si sente completamente estraneo alla religione dei padri – come ad ogni altra religione peraltro – e che non riesce a far propri gli ideali nazionalistici pur non avendo mai rinnegato l’appartenenza al suo popolo e sentendo come ebraico il proprio particolare modo d’essere che non desidera diverso da quello che è. Se gli venisse rivolta la domanda: ‘Dal momento che hai lasciato cadere tutti questi elementi che ti accomunano ai tuoi connazionali, cosa ti è rimasto di ebraico?’, la sua risposta sarebbe: ‘Moltissimo, probabilmente ciò che più conta’. Tuttavia egli non saprebbe al momento esplicitare a chiare lettere in cosa consista questa natura essenziale dell’ebraismo; ma confida che un giorno o l’altro essa diventerà intelligibile per la scienza.”
E sempre in tema di legame tra psicoanalisi ed ebraismo, è un fatto che tutte o quasi (Jung è un caso a parte) le figure chiave della storia del movimento psicoanalitico provenivano dalla medesima estrazione, l’ebraismo mitteleuropeo. Eppure uno dei maggiori biografi di Freud, lo storico Peter Gay, citato nel testo di Sonnino in “Psicoanalisi e fede”, scrive:
“Tutti quanti, ebrei o gentili, insegnarono a Freud le stesse cose sul funzionamento della psiche. L’inconscio, la libido, gli atti di repressione e sublimazione sono, come Freud li riteneva, universali. Nessuno di questi obbedisce in modo particolare a regole ebraiche.”
Insomma, psicoanalisi scienza ebraica? L’argomento è vasto e assai complesso. Di sicuro il legame ha radici profonde.
I volumi qui presentati forniscono una ulteriore occasione di approfondimento su quell’insieme di teorie, elaborate da uno scienziato ebreo a partire da fine ‘800, che rivoluzionarono il modo di approcciare le nevrosi e le malattie mentali. E di curarle.
(nell’immagine un fotogramma dell’edizione italiana della serie televisiva In Treatment, basata su un format israeliano)
Marco Di Porto