A confronto sull’identità ebraica
Uno dei confronti in assoluto più seguiti della quattro giorni toscana di Irua, la convention dedicata alla gioventù ebraica, è stato quello dedicato a “L’ebraismo di fronte a nuove forme identitarie: problemi e prospettive”. A discuterne, Daniel Funaro, romano, e Simone Mortara, milanese, moderati da Daniel Segre. Un appuntamento organizzato di shabbat, su un argomento molto sentito, tanto che diversi ragazzi hanno dichiarato che avrebbero avuto piacere che durasse di più. Entrambi i protagonisti hanno sottolineato, così come rav Roberto Della Rocca – direttore dell’Area Cultura e Formazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane -, che il fattore più importante è stato che il confronto si è sempre svolto su toni di reciproco rispetto, nonostante le divergenze. Tra i temi centrali toccati, la questione dei matrimoni misti e dei figli di queste coppie, ma anche la visione del rapporto verso l’esterno. “Secondo me la priorità dell’ebraismo italiano, stante il fatto che sui percorsi di conversione devono essere i nostri rabbanim a pronunciarsi e a delinearne i confini, è quella di avvicinare tutti coloro che fanno parte della Comunità ma non partecipano alle iniziative che vengono organizzate. – afferma Funaro – Dobbiamo offrire a loro più iniziative, creando ulteriori momenti di aggregazione che possano rafforzarne l’identità ebraica”. “Il tema dell’identità – la posizione di Mortara – è un tema molto sentito: vi è tutto un mondo considerato halakhicamente non ebraico con cui dobbiamo fare i conti. È un argomento che non è più eludibile perché è un dato di fatto. Negarlo o non affrontarlo non significa che sparirà. Credo si parli dell’esigenza di sentirsi un unico popolo ebraico o un’unica religione. Non c’è una soluzione semplice e immediata a questa argomento ma dobbiamo affrontarlo. Questo incontro è stato un punto di partenza ma dobbiamo parlarne di più, e lo si è visto dalle richieste dei ragazzi”. Sia Mortara quanto Funaro condividono poi il fatto che l’incontro a Irua sia stato molto positivo perché dimostra che posizioni molto lontane tra loro possono comunque dialogare: che lo scontro non è una via obbligata e il dibattito, seppur si rimanga poi con le stesse opinioni, quando è gestito in una maniera sana, senza attacchi e aggressività.
(2 aprile 2017)