VERSO PESACH Quell’equilibrio tra lutti e gioia
“Può un ebreo essere completamente felice?”. È con questa domanda dal sapore provocatorio che Adam Kirsh, giornalista del Tablet che ogni settimana guida il lettore attraverso gli insegnamenti del Talmud, pilastro della sapienza ebraica, apre una recente uscita della sua rubrica ispirata al Daf Yomì, la pratica di studiare una pagina dell’opera al giorno. Una domanda particolarmente calzante in previsione della festa di Pesach, dove fondamentale è la compresenza tra il lutto e l’amarezza della schiavitù e delle persecuzioni e la gioia della Libertà.
“Talvolta sembra davvero non esserci scampo. Nel XXI secolo, la Shoah ci appare come la più grande tragedia della storia ebraica, che proietta la sua ombra in tutto ciò che facciamo. Per i Maestri del Talmud, la catastrofe che non poteva essere dimenticata era la Distruzione del Tempio – ricorda Kirsh – Anche quell’evento fu accompagnato da un’enorme perdita di vite – secondo Giuseppe Flavio un milione di persone furono uccise nell’assedio nel 70 e.v. Per i rabbini è il significato spirituale a essere centrale. Senza il Tempio, le tradizionali forme di comunicazione con D-o erano cancellate, perché gli ebrei non potevano più offrire sacrifici o eseguire molti rituali della massima importanza. Non è forse empio continuare a godersi la vita sulla Terra, quando il Cielo stesso è in lutto per la perdita del Tempio?”.
La discussione dei Saggi si sviluppa serrata. C’è chi sostiene che non si possa più dipingere o rifinire alcun edificio, o almeno usare calce mista a sabbia (Bava Batria 60). Come si potrebbe avere edifici perfetti, quando il Tempio, l’edificio più importante, non esiste più?
“Dall’altro lato però, i Saggi mettono in guardia contro un eccesso di memorializzazione” si legge ancora. “Il Tempio era talmente intimamente connesso con ogni area della vita ebraica che la sua perdita è sentita ovunque: se dovessimo astenerci da ogni azione che ce lo ricorda, dovremmo semplicemente fermarci e lasciarci e morire”. Fra i rabbini, c’è anche chi è fautore di una soluzione simile: Yishmael ben Elisha suggerisce che “Dovremmo decidere di smettere di sposarci e fare figli, così che i discendenti di Abramo padre nostro cessino di esistere” nell’idea che sia meglio essere fautori del proprio destino piuttosto che essere eliminati per mano altrui. Un’ipotesi respinta dalla maggioranza dei Maestri. “I rabbini sapevano che la spinta umana a vivere ed essere felici è più forte del dovere di ricordare il lutto del passato. Un fatto confortante, perché suggerisce che anche la peggiore ordalia non può distruggere il desiderio ebraico di vivere” viene spiegato. E allora la soluzione è proprio quella, esemplificata da Pesach, di trovare un equilibrio, senza farsi sopraffare dalla tristezza, ma mai voltando le spalle alla responsabilità della memoria del passato. “Non lasciare ogni edificio che costruisci con un aspetto antiestetico, ma lasciane una piccola porzione non dipinta per ricordare la distruzione del Tempio, la raccomandazione di Rabbi Yehoshua – conclude l’articolo – Per 2000 anni gli ebrei si sono sforzati di trovare una soluzione per ricordare i propri drammi e continuare a vivere vite piene. Come sempre nel Talmud, i rabbini offrono una soluzione pragmatica, ma allo stesso tempo carica di significato spirituale”.
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