JCiak – Napalm

A 91 anni Claude Lanzmann (nell’immagine) continua a far parlare di sé. Il grande cineasta francese autore di Shoah, pietra miliare nella ricostruzione dello sterminio ebraico, sarà al Festival del cinema di Cannes con un nuovo lavoro di stupefacente attualità intitolato Napalm. Il film, che sarà presentato in una sessione speciale, è dedicato alla Corea del Nord, in questi giorni alla ribalta per le tensioni con gli USA e la minaccia nucleare, dove Lanzmann è stato quattro volte a partire dal 1958.
Napalm, ha detto Lanzmann, “è un film importante e bello”. “Quando si capisce cos’è stata la guerra di Corea si rimane piacevolmente sorpresi vedendo dove sono arrivati”. “La Corea non è l’asse del male come diceva George W. Bush”. Alla luce dei recenti sviluppi, Napalm potrebbe però suscitare un
vespaio.
Non sarebbe una novità, vista la tradizione d’impegno politico e sociale del festival che anche quest’anno esplorerà temi caldi come la crisi dei rifugiati (Jupiter’s Moon dell’ungherese Kornél Mundruczó’s e Sea Sorrow di Vanessa Redgrave al suo debutto alla regia), il cambiamento climatico (An Inconvenient Sequel di Al Gore), la salute mentale (12 Jours di Raymond Depardon, documentario girato in un ospedale psichiatrico) o l’Aids (120 Battements par Minute di Robin Campillo).
Il presidente di Cannes Pierre Lescure è consapevole dei rischi dell’operazione. “Poiché abbiamo una sorpresa al giorno da Donald Trump, spero che la Siria e il Nord Corea non finiscano per oscurare il festival”, ha detto presentando la selezione 2017.
L’eventualità non spaventa invece Lanzmann, combattente di lungo corso che – a torto o a ragione – non si è mai tirato indietro davanti a una sfida. “Se sono irriducibile è nei confronti della verità”, ha spiegato in una recente intervista a Afp. “Quando guardo ciò che ho fatto nel corso della mia vita, credo di avere incarnato la verità. Non ho mai giocato con questo”.
Nemmeno la morte recente del figlio Felix, ucciso a 23 anni da un cancro incurabile, lo ha indotto a interrompere il suo lavoro di testimonianza. “Certo che continuo a scrivere, perché dovrei fermarmi?” chiede. “Disperare del genere umano non ha alcun significato per me. Se penso a tutte le persone presenti alla sepoltura di mio figlio, non c’è da disperare. Erano persone toccate profondamente nel loro essere, nel loro cuore. C’era una comunione, una convergenza, una confluenza. Erano riuniti per e da mio figlio e scoprivano ciò che di terribile c’è nella condizione umana”. “Credo sempre alla vita”, conclude. “Amo la vita alla follia anche se non è sempre divertente”.

Daniela Gross

(20 aprile 2017)