…revisionismi

Che la ‘causa palestinese’ sia una piaga ormai purulenta non vi è dubbio; lo è nel bene e nel male. Lo è perché è giusto che prima o poi vada risolta e lo è perché più il tempo passa più le posizioni anti-israeliane assumono forma e contenuti di un antisemitismo difficilmente contestabile.
Risulta allora assai difficile distinguere fra chi non sopporta il governo Netanyahu, chi non ama lo stato d’Israele tout court e lo vorrebbe a mare, e chi, per una strana proprietà transitiva, non ama gli ebrei sparsi per il mondo, e magari li vorrebbe tutti espulsi, secondo antico costume della bella Europa, in un qualche stato lontano, magari anche in Israele. Anzi, no: questo complicherebbe troppo la situazione medio-orientale.
Che a provocare polemiche di sgradevole sapore antisemita sia il 25 aprile è di uno squallore insopportabile. Non solo perché si mette in discussione e si ridimensiona il contributo dato alla Liberazione dalla Brigata Ebraica (formata da EBREI PALESTINESI!!!), ma anche perché si permette che chi alla Resistenza al nazifascismo non ha partecipato affatto si appropri demagogicamente dei suoi valori. E si tollera che accanto agli stendardi della Resistenza sventolino bandiere che non si peritavano di dialogare con la svastica nazista.
Che vi sia chi strumentalizza l’ANPI a fini politici è semplicemente vergognoso. Non può non sorprendere, tuttavia, che a dimostrarsi incapaci dei distinguo siano, a sinistra, personaggi della cultura come Moni Ovadia e Gad Lerner. E, poiché non suonano mai piacevoli le accuse di ‘odio di sé’ distribuite a correligionari dissidenti dalla destra ebraica, vorrei cercare di criticare, una tantum, certe idee della sinistra da una posizione di sinistra. E mi chiedo allora se sia possibile che una comune intelligenza non riesca a riconoscere che se si ammettono bandiere palestinesi alle manifestazioni per la Liberazione non si vede perché non si debbano ammettere anche bandiere curde, cecene, siriane (perché no?), basche, catalane, o le insegne dell’IRA. Anche fuori tempo massimo, tutto fa brodo. E perché non riconoscere anche il diritto della resistenza ai tirolesi e ai profughi fiumani, e con essa il loro diritto al ricorso alle armi e alle bombe.
Personalmente, per uscire di metafora, non riconosco affatto ai palestinesi il diritto di sfilare con le loro bandiere alla festa della Liberazione. Lo possono fare altrove, in un’occasione dedicata, e nessuno glielo negherà. Ma la loro partecipazione confonde il senso della Resistenza e lo strumentalizza ad altri fini.

Anche ammettendo, poi, che la Liberazione fosse accettata come la festa di tutti i resistenti del globo, non si potrebbe sfuggire alla necessità morale di distinguere fra ‘resistenza’ e ‘terrorismo’.

Sorprende che Ovadia e Lerner non riescano a vedere come le loro posizioni aperturiste favoriscano in verità, volenti o nolenti, la revisione della storia. La Shoah è ogni massacro; la Resistenza fa velo a ogni resistenza, senza la necessità del vaglio della storia. Ma il consumatore che salta in aria seduto al bar di Tel Aviv o la donna in attesa dell’autobus a Gerusalemme non sono il reggimento di polizia tedesca che passa per via Rasella.

Anche l’atteggiamento dell’ANPI, non meno delle idee aperturiste e pseudo-illuminate di Ovadia e Lerner, è un modo per stemperare la storia e squagliarne i valori, una strategia revisionista per la quale la storia di oggi compensa la tragedia di ieri, con il rischio che tutti i morti siano uguali, tutti vittime, mentre i colpevoli sono scomparsi, forse non ci sono mai stati.

Sempre più il bubbone della questione palestinese serve a lavare la coscienza sporca dell’Europa. Un’Europa che, da anni ormai sotto ricatto islamico, si è autoassolta, e si sente giustificata, per boicottare una merce, a boicottare tutte le merci e tutto un paese. A fare il gioco di questa strategia è l’offuscamento delle differenze: già tutti gli israeliani sono ebrei, e tutti gli ebrei sono israeliani, e per qualcuno gli uni e gli altri sono il pericolo della civiltà. Un déjà vu. Il clima in Francia, in Svezia, in Norvegia non promette nulla di buono, e la confusione stessa delle idee dell’ANPI romana fa temere il sonno della ragione. Anche in Italia.

Da gente di cultura (ma qualcuno dissentirà su questo) come Moni Ovadia e Gad Lerner ci si aspetterebbe, però, una maggiore capacità di cogliere le distinzioni.

Dario Calimani, Università Ca’ Foscari Venezia