L’oasi delle start-up
Dai pompelmi Jaffa all’hi-tech, la strada non è breve. Israele l’ha percorsa in vent’anni e oggi la bilancia commerciale è in attivo proprio grazie all’alta tecnologia, che costituisce oltre 1150% dell’export. L’economia è cresciuta del 4% nel 2016 e le startup locali hanno raccolto 5 miliardi di investimenti dai capitalisti di ventura. «È stata una felice combinazione fra la nascita della net economy, la concentrazione di centri di ricerca di alto livello e le politiche del governo», sostiene Chemi Peres, figlio del presidente mancato l’anno scorso e fondatore di Pitango, il più grande fondo di venture capital israeliano. Dai primi anni Novanta, Peres ha raccolto due miliardi di dollari, principalmente da Usa e Cina (dall’Europa è arrivato meno del 20%) investendo in oltre duecento società.
Le tre accelerazioni
«La prima ondata è arrivata con lo sbarco in Israele dei big della tecnologia, in cerca di cervelli: da Ibm a Intel, da Cisco a Ge, da Hp a Sap, passando per Microsoft, Apple, Google, Facebook, Amazon e altri trecento colossi hi-tech hanno installato qui importanti centri di ricerca, attingendo agli scienziati formati nei dipartimenti universitari più all’avanguardia sull’intelligenza artificiale, la robotica, la bioniformatica, le nanotecnologie», racconta ancora Peres. Da qui è partita la seconda ondata, che ha trasformato il Paese in una «Startup Nation», con la crescita di migliaia di imprese locali: Israele ha più società quotate al Nasdaq di qualsiasi altro Paese, esclusi gli Stati Uniti, e più investimenti in venture capital di Germania o Francia. Gli incubatori si sono affiancati ai centri di ricerca delle multinazionali. SoSa (South of Salame), uno dei più grandi, con 2.500 startup e 40o partner industriali, ospita anche il primo acceleratore dell’Enel fuori dall’Italia. «Abbiamo individuato 60-70 startup focalizzate sull’innovazione energetica e sceglieremo le tecnologie più interessanti per integrarle nel nostro portafogli», spiega Eran Levy, responsabile dell’Enel Innovation Hub. La terza ondata è in corso oggi, con le startup locali che diventano campioni internazionali. La nuova generazione di imprenditori sta rivoluzionando interi settori, come nel caso di Mobileye per l’auto a guida autonoma, e si cominciano a vedere i primi cambiamenti economici e sociali, con la graduale inclusione nella crescita dei cittadini arabi, che costituiscono un quinto della popolazione israeliana, ma hanno una partecipazione troppo bassa alla cultura imprenditoriale. Il prossimo passo è diventare il punto di riferimento mondiale per gli innovatori. «Vogliamo attrarre forze con un nuora visto per imprenditori», spiega Avi Hasson, chief scientist del ministero dell’Economia. L’Israel Innovation Authority ha lanciato un programma chiamato Innovation Visas, che fornirà un visto per 24 mesi e sostegno economico agli imprenditori stranieri in arrivo, con l’obiettivo di un prolungamento di 5 anni se il progetto riesce a diventare una società. «Investiamo il 4,3% del Pil in ricerca e sviluppo, uno sforzo molto sbilanciato sul settore privato, che mette l’85% dei soldi», precisa Hasson. E lo Stato che cosa fa? «Punta sulle imprese più rischiose, quelle che i capitalisti di ventura evitano». Perché solo così si aiuta l’innovazione.
Elena Comelli, L’Economia – Corriere della Sera
(30 aprile 2017)