Un brano, più versioni

lotoroDopo la Guerra il compositore ebreo ceco František Domažlický, sopravvissuto a Theresienstadt e Sachsenhausen, ricostruì l’ouverture Petriana per orchestra, perduta a Theresienstadt; l’ouverture era dedicata alla sua compagna Eva chiamata Petriana, deceduta nel Campo.
Nel 1957 il compositore ebreo australiano di origine tedesca Felix Werder (riparato in Gran Bretagna con suo padre rabbino Boaz Bischofsweder e internato dalle autorità britanniche allo scoppio della Guerra in quanto considerato enemy alien) stese nuovamente in partitura i suoi lavori scritti durante il suo internamento presso il Campo australiano di Tatura quali Ac tomos per violino e voce maschile (rielaborata per orchestra d’archi), Symphony n.1 op.6, Off and Running per clarinetto e orchestra, Psalm 127 op.32 per coro misto, 2 corni, vibrafono, percussioni e contrabbasso.
Nei casi in cui il compositore sia sopravvissuto alla cattività (dall’internamento civile e militare alla deportazione vera e propria) e abbia perduto il materiale cartaceo o lo abbia conservato e sottoposto a ulteriori stesure e revisioni, non è in discussione né la continuità creativa né l’appartenenza della medesima opera alla produzione musicale concentrazionaria; ma ci sono casi particolari.
Il compositore ebreo francese di origine polacca Szymon Laks (deportato da Parigi ad Auschwitz II Birkenau) affermò nel suo libro Mélodies d’Auschwitz di aver elaborato a Birkenau le Trois Polonaises Varsovienne per un non meglio specificato ensemble da camera ma di aver smarrito la partitura durante le fasi concitate di evacuazione del Campo; dopo la Guerra Laks rielaborò i brani per pianoforte e in tale stesura li pubblicò in appendice al succitato libro, infine realizzò una ulteriore versione per grande orchestra (mi fu consegnata in autografo dal figlio André Laks).
Tralasciando quest’ultima versione (indubbiamente più bella delle precedenti ma non attinente la musica scritta in cattività), è legittimo propendere per la versione pianistica ma è di gran lunga più corretto ricostruire le Trois Polonaises Varsovienne per l’ensemble da camera di Birkenau (ossia la versione perduta) attingendo per la ricostruzione organologica all’ampio parco strumenti del Notenschreibern–Block di Auschwitz II Birkenau (dove oltretutto mancava il pianoforte).
Arbeit macht frei di Herbert Zipper, versione pianistica di ParigiIntervistato nel 1988 dallo Österreichischen Musikzeitschrift, il compositore e direttore d’orchestra ebreo austriaco Herbert Zipper (deportato a Dachau nel maggio 1938, rilasciato nel febbraio 1939) affermò di aver memorizzato a Dachau sotto dettatura del suo autore Jura Soyfer (morto di febbre tifoidea a Buchenwald nel febbraio 1939) il testo di un inno ispirato al motto Arbeit macht frei scritto all’ingresso del Lager; data la pericolosità di stendere testi su carta, elaborò mentalmente la melodia di strofa e ritornello condividendone la memorizzazione con altri deportati e la insegnò a due chitarristi e un violinista (quest’ultimo era lo stesso Kapo che gradì l’inno e collaborò con l’autore).
Questa versione dell’inno è andata perduta ma dopo il suo rilascio Zipper elaborò a Parigi il brano per coro maschile e pianoforte lasciandone su un grosso foglio (nella foto) una stesura completa; molti anni dopo, Zipper registrò una versione de Arbeit macht frei per coro maschile e orchestra.
Quale delle tre versioni è quella valida o, in gergo musicale, quale di esse chiude il canone?
È d’uopo propendere per la seconda o terza versione (quest’ultima, peraltro, è la versione che Zipper dichiarò di aver voluto realizzare) ma in realtà è la prima versione ossia quella per due chitarre e violino che andò perduta (fu ricostruita dal sottoscritto 16 anni fa ed eseguita a Barletta).
È proprio questo il paradosso: la versione di un’opera musicale prossima all’idea originale del musicista deportato è talora quella che non esiste più ossia che è esistita nel contesto logistico della cattività ma non fu tramandata per cause contingenti su supporto cartaceo.
Perché è da quell’istante che la musica (ma anche la prosa, la poesia, il teatro e altre manifestazioni creative in cattività) si fa letteratura ossia diventa bene storico, artistico e condivisibile.

Francesco Lotoro

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