Pregiudizi
Vero è che la storia non si fa con i se, ma ciò permette di vedere altre prospettive escluse dalla strada percorsa. E talvolta di rovesciare i termini della questione, come in uno dei tanti arricchimenti ricevuti da questo Moked di Milano Marittima 5777.
Di solito sentiamo ripetere, a noi in particolare, che se non ci fosse stata la Shoah non sarebbe sorto lo stato di Israele, “concessoci” come compensazione per lo sterminio di sei milioni di ebrei, uomini e donne, bambini e anziani e disabili, religiosi e atei e persone non di religione ebraica – perché non di pretesto religioso, come in passato, si trattava.
Questo viene detto, appunto, soprattutto a noi e soprattutto insistendo sul concetto di compensazione, e ciò deriva a mio parere da due vizi logici antiebraici che sono presupposto per il moderno antisionismo, in base al quale (come ha ricordato ricordato il consigliere alla cultura UCEI David Meghnagi), i pregiudizi contro gli ebrei, una volta sorto lo Stato d’Israele, possono essere amplificati divenendo pregiudizi contro un Paese intero, e così come spesso gli ebrei non vengono giudicati secondo gli stessi parametri applicati ai non ebrei (chiedendo di dimostrare la propria fedeltà con segni tanto più impegnativi quanto più l’integrazione sembra avanzare), oggi viene presentato come normale che lo Stato di Israele sia giudicato secondo standard diversi dagli altri Stati, normalizzando una situazione eccezionale.
Il primo pregiudizio è quello concettuale di Olocausto, che non solo è termine improprio, ma che suggerendo l’idea di offerta immolatoria volontaria a D-o comporterebbe l’idea di espiazione, forse sì eccessiva, per mali lontani ma teologicamente affermati fino a pochi decenni fa e di cui il deicidio sarebbe l’espressione più grave – come la Chiesa ha sostenuto sino all’enciclica “Nostra aetate” nel Concilio Vaticano II tenutosi poco più di cinquant’anni fa, mentre il riconoscimento dello Stato d’Israele da parte del Vaticano data solo al 1992.
Da qui deriva il secondo vizio ideologico, ovvero l’idea di compensazione per le sofferenze suite nella Shoah permettendo la creazione di uno Stato ebraico. Ciò implica l’occultamento astorico di diversi aspetti: si dimentica infatti che gruppi di ebrei hanno sempre vissuto in Terra d’Israele, che tanti altri nei secoli hanno viaggiato, studiato, fatto da tramite tra la galut ed Eretz Israel, e che altri ancora hanno iniziato a fare ritorno in numero consistente dal XVIII secolo in poi (sulla scia sia del messianesimo sia di alcuni maestri chassidici); il conseguimento della parità giuridica post illuminista e la nascita dell’antisemitismo ottocentesco da un lato e del movimento sionista dall’altro in Europa occidentale, la crescita delle violenze, mai del tutto sopite, in Europa orientale e l’inizio delle Alyiot di massa dall’altra, hanno fatto il resto perché il nazionalismo ebraico, arrivato molto in ritardo sugli altri movimenti nazionali europei, portasse alla nascita di uno Stato ebraico.
Ben prima della Shoah, e non a caso dopo la ristrutturazione geopolitica europea successiva al Primo conflitto mondiale, c’erano state diverse dichiarazioni in favore della creazione di una National home ebraica, come venne chiamata: prima tra tutte la dichiarazione Balfour del 1917.
L’idea di compensazione sembra infine suggerire un certo obbligo alla gratitudine, come a dire che sì il popolo ebraico con la Shoah ha sofferto molto, ma aveva pure delle colpe da espiare, ed in ogni caso ha ricevuto in cambio una patria.
Ebbene, perché invece di sentirci dire che se non ci fosse stata la Shoah non sarebbe sorto Israele, non invitiamo gli altri a riflettere, come ha affermato in un piccolo ma fondamentale inciso Rav Roberto Della Rocca durante la commemorazione di Yom HaZikaron, sul fatto che se ci fosse stato Israele non sarebbe avvenuta la Shoah?
Sara Valentina Di Palma
(4 maggio 2017)