malvagi…

Shemuel il Piccolo diceva: “Quando cade il tuo nemico non ti rallegrare, né quando egli inciampa gioisca il tuo cuore, affinché non veda D.O e se ne dolga e non ritragga la sua ira da lui” (Avot 4,19). Il motto che il Maestro Shemuel – ricordato come “il Piccolo” per la sua particolare modestia – era solito citare è in effetti un versetto del Libro dei Proverbi (24, 17-18) che, a quanto pare, raccomanda un atteggiamento di contenuta pacatezza nei riguardi del nemico sconfitto. Questo sentimento appare però in netto contrasto con quanto suggerito in un altro contesto dello stesso libro biblico, dove invece leggiamo “Del bene dei giusti gode la città, un canto di gioia per la fine dei malvagi” (Proverbi 11,10). I due passi pongono un dilemma di sentimenti: è lecito rallegrarsi per la disfatta del nemico o è opportuno trattenersi da manifestazioni di gioia? Si possono fare alcune distinzioni, anche sulla base delle diverse espressioni che ricorrono in questi due passi del Libro dei Proverbi. Innanzitutto è bene distinguere tra il nemico individuale e coloro che si dimostrano malvagi nei confronti della collettività; la caduta di un soggetto nei confronti del quale si sia sviluppato un rapporto personale di ostilità, giustificato o meno che sia, non deve indurci ad atteggiamenti espliciti di gioia, che possono alimentare propositi di vendetta privata, sentimenti negativi come l’odio e il piacere nel contemplare la sofferenza del nemico, a maggior ragione non si deve gioire nei confronti di una persona per la quale la “caduta”, cui si riferisce il testo, sia da interpretare in senso morale, ovvero l’effettivo manifestarsi di comportamenti particolarmente riprovevoli, che comprovano il nostro giudizio negativo e la nostra ostilità al personaggio; gioire perché vediamo confermato che una persona si è dimostrata effettivamente malvagia significa non avere a cuore la possibilità di pentimento e ravvedimento che D.O stesso preferisce di gran lunga alla punizione del colpevole, come detto in Ezechiele “Io non desidero la morte del malvagio, bensì che si ritragga il malvagio dalla sua via e possa vivere” (Ezechiele 33,11).
Diverso invece è il caso cui si riferisce l’espressione “Un canto di gioia per fine dei malvagi”. Qui si parla della sconfitta di malvagi che infieriscono contro la collettività, che esercitano crudeltà e violenza e la cui fine significa la possibilità del ristabilimento di una società più giusta. In questa situazione il sentimento di piacere e soddisfazione è assolutamente legittimo, va però espresso con “rinnah” ossia con una manifestazione di gioia e ringraziamento a D.O che ha anche il significato di assumere l’insegnamento etico della Torah come riferimento ad una società veramente diversa, basata su relazioni di “zedek umishpat chesed e rachamim” equità e giustizia, bontà e misericordia (Osea 2,21).
I due passi del Libro dei Proverbi si completano dunque nell’insegnarci a distinguere tra i più angusti sentimenti di rivalsa personale, di compiaciuta gratificazione per il prevalere del proprio modo di vedere persone e situazioni, sentimenti che vanno contenuti e limitati per i riflessi negativi che possono determinare, rispetto alla prospettiva più ampia della disfatta di malvagi e tiranni, che va salutata con gioia ma anche con il dovuto senso di responsabilità e col ricercare nei valori più alti della Torah la guida per costruire una vera giustizia.

Giuseppe Momigliano, rabbino

(10 maggio 2017)