Identità – ‘Davar aher’, la figura dell’altro

Cosimo Nicolini CoenUno dei temi toccati durante la presentazione all’Università Statale di Milano del libro di Massimo Giuliani, La giustizia seguirai, è stato quello – certo non nuovo – della figura dell’“altro” nella tradizione ebraica. L’altro rispetto a Israele ma anche l’altro dentro a Israele, come l’espressione “davar aher”, l’altra spiegazione o interpretazione, porta a intendere. Davar aher è espressione che ricorre già nella Mishnah, quindi risuona nella Ghemarah e arriva sino a Rashi. Benché gli usi in questi contesti non siano identici, resta che in tale formula si condensa l’incessante ricerca e il rigoroso rispetto, dalle discussioni halakiche ai midrashim, delle differenti letture possibili. David Banon allora si interroga: come si forma la parola “aher”, altro? con l’alef di “ani”, io, e con l’alef e la het di “ah”, “fratello”. E a cosa dà vita? a “aharaiut”, responsabilità, come Giuliani ricordava. La responsabilità per l’altro, proprio fratello, costitutiva dell’identità di sé? Non stupirà sapere che Banon è allievo di Levinas. Rivolgiamoci al dizionario: dopo aver rimandato al suddetto uso di “davar aher” l’Even-Shoshan sottolinea come la stessa espressione sia utilizzata nel significato di “maiale”. Davar aher diviene “cosa altra”, differente, sinonimo di trasgressione. Così, come mi è stato più volte fatto notare da uno dei miei docenti, Claudio Luzzati, “Aher” è il nome che il Talmud adotta per Elisha ben Avuyà, l’apostata. Di nuovo il dizionario viene in aiuto segnalando come sinonimo di “aher”, “zar”, straniero, da cui “avodah zarah”, idolatria. Risulta così evidente come il significato di “davar aher” e – più strutturalmente – di “aher” sia, nella tradizione, niente affatto pacifico. La (totale) apertura a ciò che è altro da sé porterebbe, come l’assimilazione mostra, alla dissoluzione del “noi”, della collettività di Israel. Allo stesso tempo è proprio a partire da come pensa questo “noi” che la tradizione si è preoccupata di costruire uno spazio per l’altro: l’altra interpretazione, da rispettare se non sollecitare; ma anche lo straniero che, in quanto fratello, dev’essere accolto. Spesso, per spiegare tale oscillazione, si fornisce questo insegnamento: che si tratti dell’altro dentro Israel o dell’altro rispetto a Israel non ci viene chiesto di perderci nell’alterità ma di definirci, a partire dalla distinzione tra noi e l’altro, nel rapporto, nella mediazione.

Cosimo Nicolini Coen