Menorà. Culto, storia e mito
“Mostra che guarda al mondo”

“Non soltanto un evento che ha un chiaro valore simbolico. È anche una grande iniziativa sotto il profilo artistico quella che inauguriamo oggi, frutto di una collaborazione molto intensa tra i nostri due musei”. Così la direttrice dei Musei Vaticani Barbara Jatta ha illustrato in conferenza stampa la mostra “Menorà. Culto, storia e mito” che vede coinvolti insieme il Braccio di Carlo Magno in Vaticano e il Museo ebraico di Roma.
Centotrenta opere in mostra, grazie anche ad alcuni prestiti concessi dai più importanti musei al mondo (dal Louvre di Parigi alla National Gallery di Londra, dall’Israel Museum alla Biblioteca Palatina di Parma). L’arte figurativa, nelle sue diverse forme, per raccontare la “storia plurimillenaria, incredibile e sofferta della Menorà”. E cioè il candelabro a sette braccia che proprio a Roma, snodo fondamentale della sua vicenda, è diventato il simbolo più potente dell’ebraismo. “Una mostra sulla Menorà non poteva che essere organizzata qua, in questa città” sottolinea la direttrice del Museo ebraico Alessandra Di Castro, intervenendo dopo Jatta.
Ad illustrare la sfida e il messaggio dell’iniziativa sono anche gli altri due curatori (insieme alla Di Castro) Francesco Leone, professore associato di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Università G. D’Annunzio Chieti-Pescara, e Arnold Nesselrath, delegato per i Dipartimenti scientifici e i laboratori di restauro dei Musei Vaticani.
La mostra, è stato spiegato oggi in conferenza stampa, vuole lanciare messaggi forti all’insieme dell’opinione pubblica. E guidare, tra storia e leggenda, in un itinerario davvero unico nel suo genere. Perché è a Roma che, inaugurando il suo lungo peregrinare, la Menorà giunge nel 70 dell’era moderna dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte delle truppe condotte da Tito. Ed è a Roma che si rafforza la sua centralità identitaria, negli stessi anni in cui inizia ad affermarsi con diversi simboli il cristianesimo. Ed è sempre a Roma che il sacco dei Vandali di Gensenico del 455 ha come conseguenza la scomparsa di ogni traccia storica sul conto del candelabro. Scompare fisicamente agli occhi, ma non nella percezione e nella coscienza collettiva.
Sottolineano infatti i curatori: “Quando nel corso della storia le opere d’arte sono state trafugate come bottini di guerra la scelta è stata sempre dettata da mire materialistiche e da manie di appropriazione. A dispetto dei danni giganteschi causati da queste drammatiche spoliazioni, il valore etico connaturato alle opere d’arte trafugate ne ha trasformato in alcuni casi, paradossalmente, la ricezione negli ambienti di arrivo in poderosi strumenti di civiltà e di confronto”. Nel caso della Menorà questo potere si perpetua ancora oggi, “a quasi due millenni dalla sua definitiva scomparsa a Roma”.

(15 maggio 2017)