Essere esportatori di pace

Emanuele CalòLa globalizzazione ha reso pressoché automatici i congegni dell’import/export. Nel nostro Paese vi sono anche delle ottime riviste giuridiche (ne rammento, ora come ora, ben due di editori presso i quali ho pubblicato, nei quali sono rappresentati interessi olandesi in maggiore o minore misura, a riprova di quanto sia globalizzata anche l’editoria).
Gli scambi internazionali sono contraddistinti, come sappiamo, dal fenomeno (irreversibile?) della rapidissima liberalizzazione, che investe in pari misura democrazie e dittature, sistemi primitivi e sistemi modernissimi, regimi oscurantisti e repubbliche al neon e finanche al led.
Naturalmente, idee e merci vanno di pari passo, ragion per cui certe minoranze etnico – religiose possono pure mettersi il cuore in pace, magari assieme ai Paesi privi di greggio.
Noi siamo un grande – anzi grandissimo – Paese esportatore e, al contempo, un importatore non da poco.
Da ultimo, si nota, al riguardo, una tendenza a importare in Italia il conflitto mediorientale insieme ad un’altra tendenza a non esportare in quelle terre grandi uomini, se non qualche aspirante aedo con le stimmate del passionario/a: nulla a che vedere – per dire-col grandioso Giuseppe Garibaldi, ma neanche col poco rassicurante guerrigliero finito nelle T- shirts.
Al nostro orizzonte si staglia una dicotomia fra rivendicazione della pace e ferocia, la quale forse andrebbe sciolta, ripristinando un rapporto di maggior decoro col principio di realtà. La pace postula un presupposto che si chiama empatia, dacché l’antipatia è un terreno brullo perché incapace di generare alcunché.
La miglior materia prima per un cambiamento sono le persone stesse: se fuori dal teatro del conflitto generassimo empatia, potremmo fornire un contributo degno di considerazione. Per la pace in Medio Oriente, sarebbe essenziale non importare il conflitto ma esportare la pace, sulla base delle diverse codificazioni dei diritti umani, dalla Dichiarazione Universale ONU passando per la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo per approdare, infine, alla Carta europea dei diritti fondamentali. Tutte queste normative, però, non varrebbero e non valgono quanto il rispetto non per una ma per ogni parte coinvolta nel conflitto. Per noi e per le future generazioni, non dovremmo importare il conflitto ma esportare la pace, mai con la forza delle armi bensì con la potenza dell’empatia di chi non sia e non sarà mai fazioso.

Emanuele Calò, giurista

(16 maggio 2017)