In ascolto – Cabaret
C’era una volta il cabaret. Erano gli anni ’20 -’30 e le grandi città della Mitteleuropa pullulavano di artisti che, assai più di oggi, mettevano in dialogo le diverse arti: musica, teatro, arte, letteratura. I compositori, affascinati dalle rivoluzioni dell’armonia e dalle correnti come il dadaismo o il surrealismo, creavano nuovi linguaggi e i letterati volentieri prestavano idee e liriche alla sperimentazione. C’era il cabaret autentico, che sceglieva piccoli palchi, in sale relativamente piccole, con il pubblico accomodato intorno a tavolini rotondi e faceva satira su mode e costumi; c’erano la leggerezza della rivista, la provocazione della danza a piedi nudi, la musica del vaudeville e l’impegno politico dell’agitprop. Erano gli anni d’oro di Kurt Gerron e Rosa Valetti e della grande ascesa di Bertolt Brecht e Kurt Weill che nelle loro produzioni volentieri inserivano richiami al cabaret.
Poi arrivò il regime, che tra le altre cose cercò in ogni modo di “mettere la museruola” al cabaret; molti iniziarono a lasciare prima i teatri e poi, poco per volta, l’Europa stessa. Qualcuno scelse l’America e qui provò ad applicare i modelli europei, con quelle melodie e il modo di cantare tipico di Berlino, Vienna e Praga. Purtroppo quel genere di cabaret piaceva poco al pubblico americano e i compositori dovettero adeguarsi alle richieste del popolo, virando così verso il vaudeville o il musical e cercando compromessi socio-culturali.
New York, 1936. Il Group Theatre, compagnia “impegnata”, sceglie di allestire una sceneggiatura di Paul Green, basata su “Il buon soldato Svejk”, celebre opera di Jaroslav Hašek, simbolo di quella lettaratura antimilitarista che si era sviluppata nel periodo tra le due guerre. Il protagonista dell’opera di Green è Johnny, un giovane idealista, sostenitore della pace che lascia la sua amata per combattere in Europa e qui tenta in ogni modo di fermare la guerra, ovviamente senza alcun risultato. Quando, dopo 10 anni torna a casa, ritrova la sua Minnie sposata a un capitalista e lui decide di dedicarsi alla fabbriacazione di giocattoli di ogni genere, tranne soldatini di piombo, come ennesimo e ultimo gesto di resistenza alla guerra.
I produttori newyorchesi del Group Theatre si ritrovano a gestire un materiale letterario che ha le radici culturali e letterarie nell’Europa degli anni d’oro e chiedono dunque a Kurt Weill, ai loro occhi simbolo di quelle espressioni musicali e artistiche di comporre la musica.
Il musical Johnny Johnnson, ovvero una rilettura americana del buon soldato Svejk ceco, con sonorità tedesche addomesticate andò per la prima volta in scena a Broadway il 19 novembre 1936 e vide 68 repliche.
Consiglio d’ascolto: https://www.youtube.com/watch?v=11q9R3pJxuU
Maria Teresa Milano
(18 maggio 2017)