Pagine Ebraiche al Salone di Torino
Musica ribelle, da Terezin in poi

Esperta di ebraismo e cantante klezmer. Maria Teresa Milano è entrambe le cose e la scrittura le ha consentito di portare a sintesi queste due anime, come ha raccontato al Salone Internazionale del Libro di Torino, nello stand di Effatà Editrice, che ha dato alle stampe il suo Terezín. La fortezza della resistenza non armata.
La trasformazione di Terezín, centro fortificato distante circa settanta chilometri da Praga, nella città-ghetto di Theresienstadt fu decisa dai nazisti il 10 ottobre 1941, nel corso della Conferenza di Praga voluta da Reinhard Heydrich, Reichsprotektor di Boemia e Moravia. “Nato come campo di raccolta degli ebrei cechi – ha spiegato Maria Teresa –, Terezín diventa presto, nel 1943, un “laboratorio diabolico”, un ghetto modello al servizio della propaganda di regime, ma anche una fucina di cultura, in cui vengono internati molti grandi artisti”.
Di nuovo una doppia anima, insomma: “Inoltre, Terezín incarna tragicamente il binomio realtà-finzione – prosegue l’autrice –. Quando, ad esempio, su sollecitazione delle autorità danesi, nel campo arriva la Croce Rossa Internazionale, le SS allestiscono una messa in scena, facendone ripulire le strade e assegnando ai deportati il ruolo di attori di questa farsa, mentre i trasporti verso Auschwitz, di cui Terezín era l’anticamera, partono regolari. I nazisti ripresero tutto e utilizzarono il girato per il film Il Fuhrer regala una città agli ebrei. Naturalmente senza precisare che, in quella città, la mortalità degli ebrei era talmente alta da richiedere un forno crematorio capace di incenerire duecento corpi al giorno”.
Eppure, sin dall’inizio, gli ebrei rinchiusi là non si arresero e armarono la propria resistenza con la musica, l’arte, la cultura: “Le deportazioni cominciarono il 24 novembre 1941 e già il 6 dicembre i prigionieri organizzavano la prima serata di varietà, per suonare, cantare, ballare. Senza contare le conferenze e gli spettacoli teatrali. I tedeschi preferivano l’opera, i cechi Smetana, ma erano tutti tenacemente aggrappati alla vita. E riuscirono a ritagliarsi, nell’orrore, uno spazio di umanità e ribellione dove estraniarsi e dimenticare, almeno per qualche ora, la paura di morire”.
Un tentativo di rivendicare la propria dignità di esseri umani e di non piegarsi al progetto nazista di trasformare gli internati – adulti e bambini – in bestie. “Di bimbi, a Terezín, ne arrivarono oltre quindicimila in quattro anni e a sopravvivere furono solo poco più di cento. Ma ebbero, se non altro, la consolazione di trovare delle figure di educatori – da loro definiti “angeli” – che seppero prendersi cura di questi piccoli indifesi, istruirli con laboratori e giornalini clandestini, addormentarli al suono di canti di speranza, preservarli – per quanto possibile – dall’aberrazione”.
E la musica come strumento di affermazione torna anche in un altro, più recente libro di Milano: La voce è tutto. Mosaico di donne nel mondo ebraico, edito sempre da Effatà Editrice per la collana “Donne toste”, da lei stessa diretta.
In ebraico, le due parole del titolo sono legate da un gioco linguistico: ‘voce’ si dice qol e si pronuncia come kol, che significa ‘tutto’. E da questa suggestiva assonanza la scrittrice è partita per indagare le vicende di diverse “donne vocali”, dalla Bibbia a oggi: “Malgrado nell’ambito dell’ortodossia permanga il divieto, per l’uomo, di ascoltare la voce femminile, dobbiamo alle donne la trasmissione di un enorme corpus musicale – canti funebri e di festa, ninne nanne –, specie in area sefardita. Il canto è memoria e tradizione, espressione di sé e della propria storia, mezzo di comunicazione e di preghiera. Mi interessava – conclude Maria Teresa – analizzare il mondo femminile da una prospettiva culturale e sociale, e ho adottato la metafora del “far sentire la propria voce”, perché può essere letta come paradigma della lotta per il riconoscimento dei diritti che investe tanti Paesi, compreso Israele”.

Daniela Modenesi

(21 maggio 2017)