Pagine Ebraiche al Salone di Torino
“Vecchie e nuove minacce,
ecco come affrontarle”

Con “La sfida delle nuove tribù agli stati nazionali”, incontro incentrato sull’ultimo libro di Maurizio Molinari, l’autore e il ministro dell’Interno Marco Minniti, moderati da Myrta Merlino, hanno riempito la grande Sala Rossa. Il pubblico, come per la maggior parte degli incontri di questa trentesima edizione del Salone del Libro di Torino, ha atteso pazientemente in coda l’inizio di un appuntamento molto atteso, durante il quale il Ministro ha raccolto numerosi applausi: “Si tratta di un libro dai molti pregi, e tra i quali il primo a colpirmi è stato il modo in cui riesce a riportare alla nostra attenzione una serie di momenti storici che, anche quando sono lontani nel tempo, sono di una straordinaria attualità. Dal momento della separazione tra sciiti e sunniti, rottura antica che ha ricadute anche sulla contemporaneità, all’accordo Sykes-Picot, capace di ridisegnare letteralmente il mondo, fino a quel processo di globalizzazione che ha rimesso in discussione l’esistenza e il senso delle classi medie sino alle primavere arabe, con la loro straordinaria partecipazione popolare”. La costruzione di rapporti con le tribù, per il Ministro unica strada possibile verso la stabilizzazione di diverse aree, si appoggia sul valore della sovranità nazionale, di cui sono spesso rappresentanti più degli stati-nazionali, e sull’imprescindibilità del loro ruolo.
Dal grande quadro internazionale, con l’inquietante presenza dei fondamentalismi, il discorso si è presto spostato su realtà più vicine, cui Minniti ha dedicato buona parte dei suoi interventi: “Il disagio va ascoltato, soprattutto dalla classe dirigente, che deve prestare orecchio anche quando si poggia su un approccio radicale. E la paura, anche, è un sentimento che in quanto tale non può essere biasimato dalla classe dirigente: io ho il preciso dovere di parlare con chi ha paura, per capirla, per ragionare sulle sue motivazioni e per arrivare a sradicarla. È l’opposto di quanto fanno i populismi, che si appoggiano sulla paura per mantenerla”.
E, ha continuato, una democrazia impaurita è più fragile e più debole.
“Non possiamo continuare a puntare su strategie top down – ha approfondito Molinari – e la conoscenza, già solidamente parte della cultura occidentale, è imprescindbile anche nel dialogo con le tribù. Ammirevole, ed esempio da seguire, la strada scelta sulle alture del Golan dove, mi ha spiegato un ufficiale dell’esercito israeliano, il controllo e la raccolta di informazioni su quello che succede nel raggio di dieci chilometri dal confine è così minuzioso che quando c’è il sospetto che qualcosa stia per succedere semplicemente si alza il telefono e si chiama il probabile responsabile, sconsigliando di procedere. ‘You’d better not do it’, spesso, è una frase sufficiente a fermare incursioni e attacchi”.
I leader politici di questa generazione devono riuscire a rispondere a sfide che sono trasversali, e che richiedono la capacità di ascoltare, capire, e interpretare una realtà sempre più mobile e multiforme. È la competenza, hanno concordato i relatori, la chiave che permette di fronteggiare quello che parrebbe essere un vero e proprio processo di disgregazione. Fino alla conclusione di Minniti: “Se uno come me non va nelle periferie, se non prende l’autobus e non ascolta anche i sentimenti più negativi, se non si confronta con la realtà quotidiana anche dei singoli, allora davvero non può agire. Il mio vero assillo non è essere capito, che è davvero poco rilevante. Il mio assillo è di capire il mondo”.

a.t.

(21 maggio 2017)