Qui Roma – I Giochi olimpici in guerra

Screenshot_2017-05-24-12-22-32 (1)Sarà visitabile fino al 28 luglio la mostra “Sport, sportivi e giochi olimpici in guerra. 1936–1948”, allestita alla Casina dei Vallati, spazio espositivo della Fondazione Museo della Shoah di Roma.
L’esposizione ha già riscosso un notevole successo in diverse città italiane. Ideata e curata dal Mémorial de la Shoah di Parigi, promossa dalla Fondazione, la mostra si avvale, tra gli altri, dei patrocini della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e della Comunità Ebraica di Roma.
A presentarla questa mattina in conferenza stampa il presidente della Fondazione Mario Venezia, il vicepresidente – e consigliere del Ministro dei beni culturali Dario Franceschini – Paolo Masini, il responsabile per le relazioni internazionali del Mémorial Bruno Boyer e la responsabile per l’Italia Laura Fontana.
Nel percorso espositivo – inaugurato nel pomeriggio – si approfondisce il rapporto tra sport e dittatura negli anni trenta e quaranta, con particolare riferimento alla Germania nazista. Ma 01Hitler non fu l’unico a servirsi dello sport e dell’esaltazione del corpo come affermazione di superiorità e di identità collettiva; anche l’Italia fascista e la Francia di Vichy associarono alla pratica sportiva le teorie razziste che si erano diffuse in Europa. Adottando misure di esclusione e discriminazione che toccarono pesantemente il mondo dello sport.
Tra gli oggetti e i documenti esposti, oltre a trofei, medaglie e figurine, anche foto, statuette e l’album dei Giochi Olimpici di Berlino del 1936. E poi ancora pagine di giornali, supplementi e riviste sportive come Il Libro dello Sport e la Gazzetta dello Sport, il disegno di Vittorio Pisani su La Tribuna Illustrata in occasione dell’inaugurazione dello stadio Mussolini a Torino e il libro fotografico di Nino Macellari Sport e potenza.
La mostra racconta inoltre la storia di diversi atleti, ebrei e non, che furono vittime di misure discriminatorie, dall’esclusione alla persecuzione fino alla deportazione. Alfred Nakache, campione europeo di nuoto, Victor “Young” Perez e Leone Efrati, pugili di fama internazionale, i cugini Alfred e Gustav Felix Flatow, campioni di ginnastica alle Olimpiadi di Atene del 1896, Attila Petschauer, schermidore pluripremiato ai Giochi di Amsterdam del 1928 e 03di Los Angeles del 1932, sono solo alcune grandi personalità dello sport di origine ebraica che videro la propria carriera interrompersi brutalmente con l’affermarsi dei regimi nazista e fascista. Se i pugili Victor Perez e Leone Efrati morirono durante la guerra, alcuni atleti, dopo la guerra, riuscirono a tornare ala vita e allo sport. Come nel caso del nuotatore francese Alfred Nakache, che dopo essere sopravvissuto all’orrore di Auschwitz, tornò ad allenarsi con forza e tenacia riuscendo a partecipare ai Giochi Olimpici di Londra del 1948.
Lo sport, in alcuni casi, fu utilizzato anche quale strumento di resistenza alle dittature. Esemplari i casi di atleti come Albert Richter, ciclista, e Max Schmeling, pugile, entrambi tedeschi non ebrei, che compirono coraggiosi gesti di dissidenza, rifiutandosi di adeguarsi e piegarsi al nazismo.

Marco Di Porto

(24 maggio 2017)