Analisi scorretta – 1967

anselmo calòIn questi giorni si ricordano i 50 anni dalla guerra del giugno 1967. Le riflessione e i commenti che leggiamo riguardano però più i 50 anni trascorsi da quel 5 giugno 1967, che le motivazioni e gli eventi che condussero a quel conflitto.
Dopo la Guerra dei Sei giorni il quadro del confronto arabo-israeliano si è modificato, divenendo sempre più, specialmente dopo gli accordi di Camp David del 1978 tra Israele ed Egitto, e gli accordi con la Giordania del 1995, il conflitto israelo-palestinese.
Israele dopo la guerra del ’67 ha avuto uno sviluppo economico-sociale profondo. Dapprincipio con l’allargamento del mercato dei consumatori derivante dall’acquisizione dei territori prima in mani arabe, poi proprio grazie al disimpegno bellico con gli egiziani e con i giordani, che ha allontanato il pericolo di un nuovo conflitto tradizionale lungo le principali frontiere. Ma tutto questo è avvenuto dopo il 1967.
Non vogliamo sorvolare sull’occupazione della Giudea, Samaria e Golan, ma ricordare la Guerra dei Sei giorni dovrebbe portarci a riflettere le motivazioni di quel conflitto, e non solo agli eventi successivi.
Chi scrive all’epoca era un bambino, ma ricordo la trepidazione che si viveva in famiglia, a scuola, e in ogni ambito comunitario. Ascoltavamo i proclami di Nasser che prometteva di rigettare gli ebrei in mare. Avevamo una conoscenza limitata di Israele e quelle parole suonavano funeste e pericolose. Molto più impressionanti di quelle che negli anni successivi abbiamo sentito dalla bocca del presidente iraniano Ahmadinejad o dai leader di Hamas e Hezbollah.
Nessuno tra i semplici cittadini – forse neanche gli israeliani – avevano coscienza della forza militare di cui Israele disponeva, il terrore che lo Stato Ebraico fosse realmente cancellato era palese nei volti preoccupati degli adulti ed evidente era il loro nervosismo.
È stato detto che in questi 50 anni Israele ha perduto la simpatia dell’opinione pubblica occidentale, a causa dell’occupazione e delle guerre in Libano e a Gaza. Ma a studiare bene la storia di quei giorni della primavera del ’67, potremmo scoprire che anche in quei momenti l’appoggio allo Stato di Israele non era forte. Il 15 maggio la parata a Gerusalemme per il diciottesimo anniversario della indipendenza fu disertata dagli ambasciatori dei Paesi occidentali. La Francia del Presidente De Gaulle, che pure era stata fino a qualche anno prima la maggiore alleata di Israele, già dal 1965 si era avvicinata agli arabi. I partiti comunisti europei, in linea con le indicazioni di Mosca, cominciarono ad accusare Israele di imperialismo (e non c’era all’epoca alcuna occupazione). I fascisti che non avevano ancora optato per l’atlantismo di Almirante, dimostravano nuovamente il loro antisemitismo.
La politica filoaraba dei Paesi europei, che ebbe maggior sviluppo dopo la shock petrolifero successivo alla Guerra del Kippur, già si annunciava. In Italia i democristiani rimasero freddi nella difesa di Israele, solo le forze laiche e socialiste rimasero al fianco dello Stato Ebraico difendendone il diritto alla esistenza e denunciando il pericolo che correva.
Israele però era preparata allo scontro, sapeva che i sovietici tra il 1956 e il 1967 avevano inviato aiuti militari ad Egitto e Siria per oltre 2 miliardi di dollari. Le provocazioni erano continue, in special modo da parte della Siria, che nel 1964 tentò di deviare il corso del fiume Giordano, risorsa vitale per Israele. Nel 1966 ci furono 75 incidenti di frontiera, e nei primi mesi del 1967 ben 270.
I Paesi arabi giocavano una strana partita tra di loro accusandosi a vicenda di non fare abbastanza contro lo Stato ebraico e tuttavia evitavano di intraprendere azioni che potessero condurre ad un confronto armato diretto. Fu l’URSS a fare da detonatore, all’inizio di maggio del 1967 avvisò l’Egitto che Israele stava ammassando truppe e mezzi al confine nord, e che quindi si preparava ad un conflitto coi siriani. Israele convocò l’ambasciatore russo e lo invitò ad una ricognizione nel Nord di Israele per vedere direttamente che non era in atto alcuna manovra, il diplomatico sovietico declinò l’invito, comunicando che il suo ruolo era quello di sostenere le dichiarazioni del suo Governo non di verificarne l’autenticità.
Il motivo per il quale l’URSS con le sue false informazioni all’Egitto, indirizzò Nasser verso la guerra non sono ancora completamente chiare. L’atteggiamento siriano preoccupava Israele, e i comandanti di Zahal avevano più volte avvisato che uno scontro diretto poteva scoppiare in qualsiasi momento. Forse i russi temevano che se Israele avesse veramente lanciato un’offensiva verso Damasco i siriani da soli non avrebbero retto. Israele doveva essere distratta anche sugli altri fronti per non annichilire i siriani.
Il Presidente egiziano che pure aveva contezza della scarsa preparazione del suo esercito, si fece ingannare dal comandante in capo Emer e chiese il ritiro della forza di interposizione dell’ONU al confine con Israele, ammassò migliaia di uomini nella Penisola del Sinai e chiuse lo stretto di Tiran, tentando così lo strangolamento del porto israeliano di Eilat sul mar Rosso.
Il primo ministro israeliano Eshkol, era gravemente preoccupato, e mise la massima attenzione affinché nessun gesto di Israele suonasse come provocazione verso gli arabi. Ma il suo capo di Stato Maggiore, Izhak Rabin, era determinato, non avrebbe aspettato che fossero gli arabi a sparare il primo colpo.

Anselmo Calò

(5 giugno 2017)