Il caleidoscopio della vergogna
Il 25 febbraio 1994 il medico Baruch Goldstein aprì il fuoco sui fedeli che pregavano in una moschea ad Hebron, compiendo un massacro. L’allora Primo Ministro di Israele Yitzhak Rabin dichiarò di “vergognarsi per la disgrazia imposta al Paese da un assassino degenerato.” La storia, naturalmente, è assai più lunga e meriterebbe ben altro sviluppo.
A noi interessa la dichiarazione di Rabin, laddove dice di vergognarsi per una strage di cui non portava alcuna responsabilità. Perché vergognarsi, allora? Può il lettore vergognarsi delle azioni altrui, quando non ne sia minimamente coinvolto?
Scartata l’ipotesi di un’asserzione corriva, occorre trovarne una logica purchessia, e in questo è d’aiuto la constatazione che tale ragionamento, estrinsecatosi in un giudizio così chiaro, non avesse suscitato eccessivo clamore, quanto meno nel suo iter logico.
Poiché non vi erano rapporti di causa ad effetto neanche tenui e indiretti, occorre cercare qualche altro rapporto fra Goldstein e Rabin, che abbia portato quest’ultimi a vergognarsi.
Non potendo ora scrivere un saggio, possiamo partire dalla constatazione più banale: avevano in comune l’essere, entrambi, ebrei. Ne consegue che nell’ambito dell’ebraismo, in senso assai lato, vi erano dei movimenti, d’opinione e d’azione, che lui non poteva che giudicare nefasti, laddove si erano risolti in un massacro.
Ora, l’ebraismo, alla radice delle religioni monoteistiche, è in certa misura un laboratorio che dall’esterno molti considerano ristretto a noi, ma che la cronaca e la storia stessa dimostrano essere di ben più vasta portata.
Ne consegue che quel sentimento di vergogna per un massacro dovrebbe avere natura universale ed applicarsi in tutti i casi, quanto è universale la specie umana. Chissà che, rileggendo la cronaca anche recente, un palese e dichiarato sentimento di vergogna, anche e in ispecie nei casi in cui non vi sia una responsabilità né diretta né indiretta, porti a far capire anche ai più refrattari che le religioni sono tante, ma l’umanità è una sola.
Emanuele Calò, giurista
(13 giugno 2017)