Iftach…

La Haftarah di questo shabbat ci riporta un personaggio biblico non molto conosciuto Iftach, uno dei Shofetim, i Giudici, le cui vicende sono narrate nell’omonimo libro biblico e che guidarono il popolo d’Israele prima che venisse istituita la monarchia, con il re Saul inizialmente e successivamente in modo stabile con il re Davide e la sua discendenza. Il testo biblico (Libro dei Giudici, cap.11) ci racconta la vittoriosa azione militare condotta da Iftach contro la popolazione di Ammon, a conclusione di un’infruttuosa trattativa diplomatica con la quale il condottiero aveva cercato una soluzione pacifica con il re di Ammon che da anni opprimeva Israele, avanzando ingiustificate e pretestuose rivendicazioni territoriali. A margine di questi eventi si svolge però un altro ben più drammatico episodio, avente come protagonista lo stesso Iftach il quale, nell’intento di acquisire la protezione divina nell’iniziativa bellica che si apprestava a svolgere, formula uno sconsiderato voto, promettendo di offrire al Signore quello che per primo fosse uscito dalla sua abitazione al suo ritorno dal combattimento; disgraziatamente, la prima ad uscire dal soglio di casa, proprio per salutarlo festosamente al ritorno dal combattimento, è la figlia dello stesso Iftach. Per quanto sconvolto da questa circostanza, il condottiero ritiene suo dovere religioso adempiere al voto. I commentatori sono divisi nell’interpretazione dell’esito finale di questo evento, secondo alcuni, Iftach sacrificò effettivamente la figlia sull’altare, ritenendo in modo scellerato che questo fosse il solo modo di dare esecuzione al voto formulato, secondo altri si sarebbe almeno limitato a destinare la figlia ad una sorta di vita di clausura, esclusivamente contemplativa e isolata dal mondo. Secondo il midrash, Iftach effettivamente sacrificò la figlia, comportamento che i Maestri stigmatizzano quale sconcertante esempio di come l’ignoranza della Torah – nel caso specifico le norme sullo scioglimento dei voti – possa portare alle azioni più perverse anche persone animate da sincera fede: “Che cosa portò Iftach ad uccidere la propria figlia? Il fatto che non aveva studiato la Torah” (Midrash Tanchumà) Il midrash aggiunge poi ulteriori particolari, che rendono ancora più sconvolgente l’episodio; il voto, per quanto sconsiderato, poteva ben essere sciolto, per liberare la coscienza di Iftach, ma per far ciò era necessario che la questione venisse sottoposta al giudizio dell’autorità religiosa dell’epoca, che era rappresentata dal sacerdote Pinchas. Secondo il midrash, tanto il sacerdote quanto Iftach, per infime considerazioni di dignità personale e di tutela del rispettivo ruolo, disdegnarono di prendere l’iniziativa di recarsi l’uno dall’altro per consultarsi sullo scioglimento del voto, quindi, anche per questo, sono considerati entrambi responsabili dell’ingiusta fine della figlia di Iftach, quale che sia stata, poiché anche la clausura era comunque una forma di vita in contrasto con l’insegnamento della Torah. Come si vede il midrash non esita ad esprimere liberamente i giudizi più critici anche verso personaggi di grande importanza, pur di inquadrare il racconto biblico nei valori che considera corrispondenti all’insegnamento morale e spirituale della Torah.
Il midrash, e più in generale le interpretazioni della tradizione ebraica orale e rabbinica, sono uno strumento essenziale per la comprensione del racconto biblico; l’approccio al testo preso nella sua forma letterale può dare spazio ad esegesi fantasiose, spesso molto lontane anche dal significato più immediato del racconto, che riflettono solo il pensiero di chi le formula. Particolarmente grave è che si pretenda di ricostruire aspetti sostanziali della storia del popolo ebraico, e perfino dare chiavi di interpretazioni sul presente, partendo appunto da interpretazioni personali estemporanee, che non hanno alcun riscontro nella storia del pensiero ebraico, come recentemente avvenuto con interventi dello scrittore Abraham Yehoshua. L’interpretazione del midrash citato è solo un esempio di come il pensiero religioso ebraico non si sia formato sul presupposto di una fede cupa, alimentata dal terrore della punizione divina, come avanzato da Yehoshua, ma al contrario sulla base di un rapporto dialettico con l’Eterno, che desidera per l’uomo la libertà, non come scelta occasionale, dettata spesso da emozioni incontrollate ed istinti devianti, ma come capacità di scoprire con lo studio della Torah i valori autentici ed i comportamenti coerenti.

Giuseppe Momigliano, rabbino

(28 giugno 2017)