Società – Giudeo-lingue, sguardo sulla complessità

yiddishLa distinzione operata da Ferdinand de Saussure fra langue (la dimensione sociale del mezzo linguistico) e parole (l’appropriazione individuale che ognuno ne fa) permette di capire meglio lo statuto di alcune parlate usate tradizionalmente in ambito ebraico. Poiché una grande parte della nostra conoscenza sulle giudeo-lingue ancora oggi in uso deriva da indagini sul campo con una grande varietà di informanti, il linguista specializzato nelle giudeo-lingue non è sempre in grado di capire quale sia la componente di idiosincrasia individuale o familiare nelle informazioni che sta raccogliendo. Questo margine di incertezza nella raccolta dei fatti linguistici sulle giudeo-lingue è un problema reale in un mondo dove le giudeo-lingue o i vari dialetti usati un tempo dalle comunità ebraiche del mondo riescono con grande difficoltà a resistere alla pressione delle lingue nazionali e globali. È importante integrare questa dimensione di variazione individuale e familiare nella ricerca sulle giudeo-lingue come lo yiddish, il giudeo-spagnolo, il giudeo- arabo, il giudeo-italiano, il giudeo-persiano e in genere, tutte le parlate usate dagli ebrei nelle varie epoche e in varie comunità dalla Lituania al Marocco e dall’Olanda all’India. L’esistenza di fonti scritte è ovviamente un valido aiuto per la ricerca, ma non sempre è garanzia sufficiente per la definizione di giudeo-lingua. La storia linguistica degli ebrei presenta infatti casi di testi scritti in lettere ebraiche nella lingua del luogo che non possono essere senza alcun dubbio considerati giudeolingue. Menzioniamo per esempio il caso del berbero che era conosciuto in certe comunità ebraiche dell’Atlante o dell’Anti Atlante in Marocco. Il fatto che un individuo di queste comunità bilingui, che conoscevano sia il giudeo- arabo marocchino che il tashelhit, la lingua berbera del Marocco, abbia avuto la fantasia di tradurre la Haggadah di Pesaḥ in berbero non significa che questo esperimento isolato abbia raggiunto la dimensione della langue in quanto istituzione sociale. Lo stesso vale per le tre traduzioni della Haggadah in georgiano: nonostante gli sforzi di Reuven Enoch per ricostruire una tradizione di traduzione unica, al di là delle differenze importanti che si manifestano fra i tre testimoni di questa traduzione, pare che ognuna delle tre versioni della Haggadah di Pesacḥ in georgiano rappresenti un’iniziativa individuale, circoscritta alla dimensione della parole. In questi testi abusivamente chiamati giudeo-georgiani, ma che non erano nemmeno scritti in lettere ebraiche (fatto sta che si tratta di una traduzione orale ritrascritta in lettere georgiane in età contemporanea), l’unica manifestazione formale dell’identità ebraica nella lingua, al di là del contenuto testuale, è la presenza assai frequente di ebraismi lessicali, come il verbe ipesaxos “che celebri Pesacḥ”, traduzione di yifsaḥ. E dunque il fatto che la lingua in uso dagli abitanti di un luogo sia usata per veicolare contenuti ebraici a livello della presa di parola individuale non è necessariamente un criterio sufficiente per considerare un testo come campione di una giudeo-lingua. L’articolazione fra langue e parole complica anche lo studio delle giudeo-lingue riconosciute come tali, anche per quanto riguarda una giudeo-lingua passata per un processo di costruzione linguistica (Sprachaufbau) e di standardizzazione come lo yiddish. Così nella prima pagina del suo romanzo Di familie Mushkat (La famiglia Mushkat), il cui titolo già contiene la parola familie, germanismo usato invece della parola yiddish di origine ebraica mishpokhe (ebraico mišpaḥah), Isaac Bashevis Singer ricorre al verbo oysshteygn “scendere” che era stato esplicitamente designato come parola tedesca, piuttosto che propriamente yiddish, da Sholem Aleichem nel suo romanzo epistolare Marienbad. In quest’ultimo la protagonista Beltshi Kurlender, dopo aver sentito in un Luna park il verbo tedesco aussteigen, lo percepisce come una parola straniera allo yiddish, pure trasponendola allo yiddish secondo le regole di corrispondenze fonetiche fra il tedesco e lo yiddish: heyst der daytsh ‘oysshteygn’, aroysgen heyst es “il tedesco annuncia ‘aussteigen/oysshteygn’, il quale vuol dire aroysgen ‘uscire’”. Questa esitazione fra oysshteygn, l’adattamento superficiale della parola tedesca aussteigen “scendere” allo yiddish, e aroysgen, l’autentica parola yiddish per esprimere l’azione di “uscire”, rivela che anche a livello del discorso letterario, in una lingua già in processo di standardizzazione, non vi era unanimità sulla forma corretta per esprimere un’azione così elementare come “scendere o uscire da un treno”. L’idioletto letterario di Isaac Bashevis Singer sembra l’elaborazione di una parole individuale, più permeabile all’influenza del tedesco di quanto possa essere lo yiddish di Sholem Aleichem, grande classico della letteratura yiddish. Se questa oscillazione si manifesta fra due norme letterarie dello yiddish, a maggior ragione rischia di occorrere quando si indagano giudeo-lingue poco documentate, il cui studio si deve basare su informanti dei quali non sempre si sa se stiano usando un idioletto individuale o un modo di dire condiviso con altri locutori della giudeo-lingua. Se le giudeo-lingue fossero delle lingue ancora usate da molti locutori, questa incertezza non sarebbe problematica, ma siccome sono in via di estinzione (anche lo yiddish che conta meno di 1,5 millioni locutori nativi), non si può sempre verificare se un’espressione o una forma raccolta dalla bocca di un informante sia davvero condivisa a livello della langue. (Cyril Aslanov è stato tra i protagonisti del convegno “Le lingue degli ebrei: problemi e metodi” in due giornate organizzato dal Centro Bibliografico UCEI in collaborazione col l’Università di Napoli Federico II e il Cise dell’Università di Pisa).

Cyril Aslanov, linguista
Pagine Ebraiche, luglio 2017