Dove osano i passerotti

Emanuele CalòÈ lecito, dal punto di vista giuridico che gli ebrei/israeliani costruiscano in Cisgiordania? Appare paradossale che un giurista scriva che il côté giuridico della questione non lo appassioni, ma il paradosso potrebbe proseguire il suo travagliato itinerario se soggiungessimo che, proprio perché abbiamo un’idea non necessariamente vaga del giure, tendiamo talvolta ad un suo ridimensionamento. Per intenderci, poiché l’intreccio di ragioni e torti è inestricabile, sarebbe più semplice riconoscere i diritti delle due parti senza alcuna condizione, prima fra tutte quella di terra in cambio della pace, che oltre alla sua formula poco felice e che i penalisti ben conoscono, ricorda troppo le vessazioni subite dal popolo ebraico per poter rimanere in vita.
Il compromesso – di quello vogliamo disquisire – è da ascrivere ad un versante squisitamente politico, quello che ci vede meno attrezzati ma che, nondimeno, attende di essere affrontato.
Non so se si debba attribuire ad Amos Oz il Premio Nobel per la letteratura, ma qualche altro riconoscimento glielo faremmo avere per la sua insistenza sul compromesso in generale e nell’ambito del conflitto arabo -israeliano in particolare. In circostanze in cui spesso l’odio è un valore e il rispetto un disvalore, sappiamo che se da una parte il compromesso potrebbe non essere ben accetto, dall’altra non è neanche certo che sia esaminato (nelle italiche pandette ciò che s’intende come compromesso sarebbe una transazione, mentre il compromesso, inteso nel linguaggio comune, prenderebbe le mosse dalla morale).
Dicevamo degli insediamenti israeliani/ebraici nella West Bank: dopo la Guerra d’Indipendenza del 1948, degli ebrei sono stati espulsi anche da tale area, ma sorvoleremo, in quanto noi si parte dalla base che l’irredentismo non assolva ad alcun ruolo, se ed in quanto si tenti di addivenire ad una soluzione concreta.
Il quadro attuale mostra una minoranza araba in Israele (il cui status dovrebbe essere affrontato con obiettività, anche se questa potrebbe rivelarsi una pretesa eccessiva) e una minoranza ebraica nella West Bank. Dopo gli accordi di Oslo – che nulla hanno a che fare col diritto, perché una convenzione priva di oggetto sarebbe nulla – possiamo disquisire di occupazione? Se lo facessimo, e non abbiamo alcun problema, visto che stiamo esaminando la prospettiva del compromesso, occorrerebbe stabilire come mai l’Autorità palestinese si sia insediata in quei territori, atteso che i particolari scomodi sono sovente trascurati.
Assumiamo, come ipotesi di lavoro: a) che la qualificazione della fattispecie sia di occupazione e b) che le si voglia por fine c) che si rammenti Gaza.
Partendo dall’assunto che ambedue le parti godono di pari dignità, non basterebbe esaminare il punto di vista ebraico/israeliano, bensì quello delle due parti. Gli anglosassoni amano dire “it takes two to tango”; peccato che quando si critica oppure quando si loda il governo israeliano spesso si dimentichi che non si agisce da soli e che ciascuna parte dovrebbe assumersi oneri e onori, anche per i falliti tentativi di pace. Eventuali tentativi di conseguire il diploma d’anima bella possono essere altamente apprezzati, purché servano a qualche cosa; per ora, sembra che non abbiano valore legale. Ho appena visionato sul web le lodi dei pacifisti ebrei ad Ariel Sharon per il ritiro da Gaza (senza nemmeno citare la necessità di un trattato) ma quel che non ho trovato è un’autocritica, visto com’è andata a finire.
Dal passato si potrebbero trarre delle lezioni? Non è sempre così; nondimeno, potremmo iniziare da due quesiti:
a) fino a quale punto si rispetta il principio di pari dignità della parte araba se, nel prendere posizione sugli insediamenti, non si fa mai cenno delle posizioni delle diverse autorità arabe in merito alla soluzione del conflitto? Per dirci democratici, dovremmo considerare le opinioni del démos e/o dei suoi rappresentanti, veri o presunti: se non lo facessimo, potremmo ancora dirci democratici oppure tale qualifica rimarrebbe confinata nell’ambito delle nostre aspirazioni?
b) Sempre dal punto di vista arabo, quali sono i territori ebraici, atteso che nei documenti fondanti dell’OLP si fa giustamente riferimento ai territori arabi? Perché, se si vuole la pace, la sola introspezione non è sufficiente.
Ipotizzo che credere che basti la volontà d’Israele non sia un gesto di pace ma di vanità; se vogliamo che si realizzi il sogno di due Stati, uno ebraico e uno arabo che vivano in pace, dobbiamo lasciare da parte Rudyard Kipling per ispirarci a chi rispettava per davvero i popoli, come Shimon Peres oppure a giuristi odierni come Alan Dershowitz..

Emanuele Calò, giurista

(4 luglio 2017)