Periscopio – Vendetta e politica
Ho avuto l’onore e il piacere di essere invitato, dai colleghi della bellissima Università di Sassari (un Ateneo altamente apprezzato per la serietà della didattica, l’intensità e l’eccellenza della ricerca e l’apertura internazionale, al quale – accanto a quello di Cagliari – mi sento particolarmente legato, da decenni), a partecipare, nella mattinata di oggi, a una discussione di particolare interesse, intrecciata col Collega Luigi Nonne, e con le conclusioni del Rettore emerito Attilio Mastino – amico di vecchia data -, sul tema “Dina e Tamar tra vendetta personale e programma politico: due vicende di stupro nell’Antico Testamento”.
Non è ovviamente possibile, nel breve spazio delle poche righe di questa mia nota settimanale, rendere conto della molteplicità degli spunti e delle sollecitazioni emersi nel corso del dibattito seminariale, dei quali terrò debito conto nel prosieguo delle mie riflessioni su argomenti che mi coinvolgono da molto tempo (e sui quali ho il piacere di svolgere un percorso di ricerca comune proprio con un esponente di spicco del mondo accademico di Sardegna, quale Fabio Botta [il libro su “Violenza sessuale e società antiche”, scritto da noi due insieme a Giunio Rizzelli, è già arrivato alla terza edizione, e non è detto che ci fermeremo qui, a Dio piacendo]). Quel che vorrei soltanto fare, in questa sede, è richiamare il senso della domanda, avanzata stamattina, riguardo alla perenne vitalità delle pagine dedicate dalla Bibbia a torbide vicende di violenza sessuale, che sembrano scuotere, con particolare urgenza, la coscienza dell’uomo contemporaneo, sollecitandolo a cercare in esse le ragioni recondite di quell’oscura tendenza alla sopraffazione e all’umiliazione della donna che pare così profondamente annidata nell’animo maschile, e che, nonostante millenni di cosiddetto “progresso”, sembra ripresentarsi, ancora al giorno d’oggi, con la stessa pulsione malefica e distruttiva che emerge dagli episodi dei libri della Genesi e dei Re.
Il cuore della domanda, a mio avviso, è il seguente: le vicende di Dina e Tamar (che, com’è noto, raccontano due brutali storie di violenza sessuale, destinate, entrambe, a innescare un’inarrestabile spirale di vergogna, odio e vendetta, conclusa, in entrambi i casi, in un oscuro finale – tutt’altro che pacificante – di sangue e morte), oltre a descrivere, con vivida forza letteraria, la perpetrazione della violenza, offrono anche una chiave di lettura valida a farne cogliere le origini, a spiegarne la ragion d’essere? E indicano una possibile strada per spegnere sul nascere tale tendenza all’abuso e alla brutalizzazione della donna, attraverso meccanismi di educazione e prevenzione, anziché di mera vendetta?
La risposta, a tale domanda, non è semplice. Non è vero, secondo me, che non ci sia, ma certamente non è univoca, e non è trasparente. E proprio in ciò risiede, a mio avviso, la perenne contemporaneità della biblica “haggadah”, che mostra, nella sua crudezza, le molteplici e contrastanti inclinazioni dell’animo umano, verso il bene e verso il male, permettendo a ciascun interprete del testo di formarsi un libero convincimento riguardo al suo significato e ai suoi insegnamenti. I quali appaiono sempre, a distanza di millenni, straordinariamente attuali: Dina e Tamar, le due vittime, sono assolutamente uguali, nella loro dignità offesa, alle donne di oggi vittime di violenza, così come uomini di oggi ci appaiono i loro aggressori (l’ambiguo Sichem, il protervo Amnon) e gli altri protagonisti delle due vicende (gli spietati e sleali vendicatori, Simeone, Levi e Assalonne, e i due pavidi e tentennanti padri delle vittime, Giacobbe e Davide, raffiguranti un modello genitoriale tutt’altro che edificante). Sono uomini di oggi, la Bibbia racconta la cronaca dei nostri giorni. E, se vogliamo cercare di comprendere tale cronaca in modo non superficiale – al di là della mera presa d’atto della triste realtà -, è proprio da tali pagine che conviene, ancora oggi, partire.
Francesco Lucrezi, storico
(5 luglio 2017)