Tamuz, le api e il Tempio

Schermata 2017-07-21 alle 12.55.43Voglio condividerei con i lettori di Pagine Ebraiche un insegnamento elaborato grazie all’osservazione delle api maya. Tale riflessione sarà la parte conclusiva di un testo in scrittura, sugli Animali e la Cabalà, nel quale applicare una fondamentale teoria dei saggi di Israele: se non avessimo ricevuto la Torà, l’avremmo potuto apprendere osservando il comportamento degli animali.
Come prima cosa vorrei presentare le mie maestre: le api XunanKab, che hanno un ruolo privilegiato nella cosmologia e nella vita dei maya -non solo per l’incredibile potere terapeutico del loro miele (capace di curare la cataratta e infinite malattie di apparato respiratorio e digestivo), ma per essere autentiche ‘maestre di pace’: la totale mancanza di aggressività, la fiduciosa attitudine verso gli esseri umani, ha permesso loro di fare a meno, nel corso dell’evoluzione, del pungiglione, che si è gradualmente ridotto fino a scomparire del tutto!
Questo fatto ha ovviamente anche un lato negativo: la specie delle XunanKab è in drammatico pericolo di estinzione perché (oltre al disboscamento, agli insetticidi e al climate change che minacciano in genere tutte le api), da 500 anni l’ape maya deve anche fare i conti con l’invadente aggressività delle api europee e africane -introdotte dagli spagnoli durante la Conquista. Inoltre poiché gli spagnoli dichiararono guerra ai sacerdoti maya che per millenni erano stati i ‘guardiani’ delle sacre api, anche le api maya pagarono il prezzo dell’odio dell’Inquisizione cattolica, nel perdere il supporto dei loro protettori. I preti che giunsero con Cortez e gli altri conquistadores arrivarono a dichiarare fuori legge l’uso rituale di una bevanda creata dal loro miele, cosi come fecero con il resto della farmacopea maya. Ancora oggi, purtroppo, nel Messico contemporaneo, il ricorso alla medicina tradizionale maya è fortemente ostacolato da un sistema medico che -come in ogni paese capitalistico, rappresenta gli interessi dell’industria farmaceutica e preferisce vendere penicillina piuttosto che lasciare che i maya usino il miele delle XunanKab.
Nella classificazione scientifica le api maya fanno parte della specie delle Meliponine, “stingless bees” (che vivono in Messico, Australia, India, Brasile e pochi altri paesi del Tropico) il cui miele nell’ultimo decennio ha sorpreso gli apicultori di tutto il mondo per le sue proprietà curative. Dal punto di vista metafisico esse sono il centro della cosmologia maya: Il ‘Dio Discendente’, o “Dio della Vita”, che appare in ogni piramide maya e’ rappresentato da un’Ape in discesa dal Cielo per dar vita alla creazione. Einstein sottoscriverebbe la veridicità di tale glifo, che rappresenta il ruolo indispensabile delle api per la sopravvivenza del nostro pianeta – dove la vita continuerebbe, a parere del grande scienziato, non più di quattro anni in caso si estinguessero le api.
Anche nella tradizione ebraica le api e il loro miele hanno un ruolo particolare. Non solo esso era un’importante componente dell’incenso e di molte delle offerte nel tempio, ma nei Salmi e nel Cantico dei Cantici appare come sostanza alchemica, che avvicina l’umano a Dio e al partner. Nella Bibbia, più volte la Terra Santa viene definita come la terra del ‘latte e miele’, parole che ci riportano alla dimensione di Hesed, dell’amore incondizionato. Per questo motivo il bambino ebreo viene iniziato alla lingua sacra, con un vero e proprio ‘assaggio’ di una delle lettere dell’alfabeto, scritta non con l’inchiostro ma con il miele: l’associazione del gusto del miele alle sacre lettere resterà impressa nel suo subconscio per la vita. Il concetto di Tikun (centrale nella Cabalà), è descritto anche come ‘amtakat hadinim’, l’addolcimento dei Dinim (la severità del Giudizio sulla quale ci fissiamo quando la Provvidenza ci imparte lezioni difficili, ma importanti per la nostra evoluzione). Nella tradizione sufi si usa mettere sotto la lingua del morente un goccio di miele per facilitarne il passaggio all’altra dimensione, in uno stato di benessere e gratitudine.
Potrei continuare per varie pagine a parlare delle qualità alchemiche del miele e dell’impatto che le api maya ebbero sulla mia vita e sulla decisione di partecipare attivamente alla lotta per la sopravvivenza della loro specie (assieme ai biologi locali che operano incessantemente per rimediare i danni forse ormai irrimediabili). In breve però vorrei comunicare al lettore che mi avvicinai a questa super-ape con estremo rispetto, con un senso di religiosa riverenza. Addirittura la prima volta che mi trovai di fronte a uno dei loro particolarissimi alveari, pronunciai la benedizione che gli ebrei fanno di fronte a una creatura eccezionalmente ‘fuori dalla norma’. Anche la meravigliosa architettura, perfettamente concentrica dei loro alveari mi colpì, mi colpì perché sembrava ispirata dalla forma delle piramidi maya. (nda vorrei inserire delle foto qui se possibile)
Tornando alla storia delle meliponas, quando erano sull’orlo dell’estinzione sono riuscite a inviare un silenzioso ’s.o.s’ – che ha raggiunto soprattutto il mondo scientifico. Come accadde per le balene un ventennio fa (che anche loro stavano per scomparire di fronte all’indifferenza degli umani), la comunità scientifica e le associazioni ambientali si sono miracolosamente rivolte a questa specie, scoprendo il valore miracolo del loro miele -che addirittura viene classificato non come ‘dolcificante’ ma come medicina. Esso ha infatto aproprietà terapeutiche molto più potenti di quello delle loro cugine europee (valore che si riflette anche nel suo prezzo: una minuscola boccetta con contagocce che viene venduta soprattutto come rimedio alla cataratta, può costare 50 dollari).
Essendomi innamorata delle meliponas (come accade a chiunque venga in contatto con queste Maestre di Pace), da mesi, insieme al biologo Gustavo Medina, partecipo all’operazione di divisione e duplicazione degli alveari. Tale processo parte con la dislocazione delle Meliponas dai tronchi originali a cassette di legno, facilmente maneggiabili e adatte per la proteggerle dagli altri insetti, dalla muffa e soprattutto per procedere poi con la duplicazione degli alveari. Assistere a tale processo mi mette sempre in ansia perché mi ricorda i vari esilii sofferti personalmente, ma questa volta, alla vigilia del 17 di Tamuz, mi offre uno spunto di meditazione profondo, che vorrei condividere con i lettori di Pagine Ebraiche.
Assisto all’operazione chirurgica con cui il tronco (nel quale da decine di generazioni vivono e lavorano le api che Gustavo vuole aiutare a riprodursi) viene aperto a meta’. Il biologo, con estrema delicatezza sposta il contenuto dell’alverare dentro una cassetta che sarà la loro nuova casa -dove verranno nutrite e accudite con grande attenzione, affinche dopo pochi mesi (quando si saranno rafforzate e riprese dallo shock della dislocazione) l’alveare verrà diviso in due e una parte di esso sarà spostato in un’ altra casetta (che darà vita a un secondo alveare). In poche settimane una principessa emergerà dal secondo gruppo delle operaie, e diventerà la regina, assicurando la sopravvivenza della nuova colonia.
Osservo le api non reagire minimamnete all’invasione della loro dimora centenaria, mantenendo un comportamento di serena non-resistenza durante tutto il processo (che avviene senza necessità di fumo, o di reti difensive). La loro pace mi fa ipotizzare che siano consapevoli delle buone intenzioni di Gustavo, e soprattutto della Shehina: nella prospettiva divina la distruzione temporanea dell’ habitat è un passo necessario per la futura sopravvivenza come specie. Rifletto che così fu per gli ebrei che lasciarono la Spagna (sulle navi di Colombo, in parte finanziate dal mio avo Don Isaac Abravanel), alla ricerca di una nuova terra. Essi lasciarono la Spagna proprio il giorno in cui scadeva il decreto dei re cattolici: conversione, esilio o condanna a morte. La Malkut ebraica grazie a quel doloroso esilio si ristabilì più forte di prima, negli US e in America Latina.
Continuo a osservare le api: dopo aver fatto per alcune ore andata e ritorno dal tronco svuotato alla nuova dimora, alla fine abbandonano il vecchio tronco- pieno di ricordi ma privo di futuro. Hanno compreso di doversi immediatamente attivare per cercare di ricostruire la vita dell’alveare. Mentre guardo le api all’opera non posso non riconoscere quanto la loro storia è associabile a quella del popolo ebraico. Senza dilungarsi nel lutto, proprio come il profeta Geremia invitò gli ebrei a fare, iniziarono a ricostruire la nuova comunità. Mentre la distruzione del tempio di Gerusalemme era vissuta da molti come una perdita insuperabile, il profeta Geremia convinse gli ebrei ad accettare la realtà dell’esilio, e a dedicarsi di buona lena a piantare vigne e campi nella terra dove erano stati deportati. Ormai l’esilio era un fatto avvenuto: meglio farselo amico, accettare la natura paradossale del Divino e del destino! Era proprio ciò che stavano facendo le sagge api maya: dopo qualche ora di disorientamento, le api si trasferiscono definitivamente nella nuova casa, dove iniziano a rimuovere le api rimaste ferite durante il ‘trasloco’.
Improvvisamnete noto qualcosa che mi stupisce nel loro comportamento. Mi sorprendono i movimenti aggressivi con si rotolavano, abbracciate alle loro compagne, in una strana danza di guerra. Poi comprendo che quelle api docili, che non avevano posto nessuna resistenza all’attacco di Gustavo (il nemico esteriore) stavano lottando per trasportare le loro sorelle ferite fuori dalla nuova casa, perchè sarebbero morte comunque ed avrebbero infettato l’alveare intero. Per eliminare la parte malata della colonia, le Meliponas avevano saputo metter da parte la loro innata docilità e stavano agendo con una aggressività inaspettata. Nell’osservare tale processo mi confrontai con l’Archetipo di Gevurah (la Forza), vissuto così malamente dalla maggior parte di noi, che usiamo la Gevura per lottare contro gli altri, contro l’ingiustizia, contro il male e gli abusi che abbiamo subito, invece di usare le potenti energie di Marte (associato dai saggi a tale Sefirah) soprattutto per eliminare il male interiore. Mentre osservo le api maya mi viene in mente il detto dei maestri: mi ha gibor? ha kovesh et izro: chi è veramente forte? Colui che sa sottomettere i propri istinti inferiori. Le Meliponas maya, alla vigilia del 17 di Tammuz mi hanno dato un insegnamento importantissimo: non portarmi dietro i cadaveri del passato! È vero che una parte di noi muore ogni volta che perdiamo una relazione o che veniamo traditi. E che restiamo mutilati. Ma siamo più di quella parte e dobbiamo liberarci della disperazione che sperimenta l’io biografico per tale perdita. La psicologia del Profondo ci insegnerebbe che per farlo dobbiamo riconnetterci al Self superiore, a quella parte di noi che la medicina cinese e anche la Cabala chiamano il Nulla (l’Ain), il potere dell’anima che sa interpretare la vita in modo trans-personale, archetipico. Quella parte di noi che non si illude di conoscere il bene e il male, ma si affida invece alla saggezza divina. Quella parte di noi che crede nella ricostruzione del Terzo Tempio proprio a partire dalla riflessione e trasformazione delle ceneri del passato.Quella parte di noi che comprende che il Regno, Malkut Israel, ancora oggi è a rischio, non solo per l’aggressione esterna ma per una forma di profonda incoerenza rispetto ai valori individuali, nazionali e universali della Torà. Questo era il messaggio di Geremia che rischiò la vita per avere avuto il coraggio di scrivere e predicare tale verità.

Daniela Abravanel

(21 luglio 2017)