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Il quinto Libro della Torah – Devarim, Deuteronomio – contiene essenzialmente gli ultimi discorsi di Mosè al popolo d’Israele. La prima Parashà viene sempre letta nel Sabato che precede il digiuno del Nove di Av, giorno di lutto in cui si ricorda la distruzione del primo e del secondo Santuario di Gerusalemme; tali eventi segnarono in maniera definitiva la storia e l’identità ebraica, anche attraverso l’affermarsi della diaspora quale condizione di vita della maggior parte del popolo d’Israele. Attraverso l’esegesi dei Maestri è possibile individuare dei significativi nessi tra il contenuto di questa Parashà e gli eventi che ricordiamo in questo periodo dell’anno. Il discorso di Mosè è introdotto da alcune premesse: “Al di là del Giordano, nella terra di Moav, Mosè iniziò a spiegare questa Torah”, Rashì interpreta che l’azione esplicativa di Mosè si realizzò attraverso il ricorso a “settanta lingue”, corrispondenti ai settanta popoli del mondo, tradizionalmente identificati nella Torah. Mosè, presagendo in spirito profetico il destino d’Israele disperso tra le nazioni, si impegna a manifestare, attraverso la spiegazione nei settanta idiomi, l’universalità e l’eternità della Torah, in grado di portare la propria luce fra tutti i popoli e di confrontarsi con autorevolezza con tutte le culture in mezzo alle quali i figli d’Israele si sarebbero trovati a vivere. In una suggestiva spiegazione, un grande rabbino contemporaneo – Rav Yehudah Amital z.tz.l. – individua nel discorso di Mosè non una semplice affermazione di principio sull’universalità della Torah ma una vera e propria esposizione di metodo e di riferimenti con i quali rivolgersi alle parole del testo sacro, in ogni tempo ed in ogni situazione. All’inizio del Libro di Devarim c’è una descrizione meticolosa dei diversi dati indicativi rispetto ai quali si colloca il discorso di Mosè. Il posto preciso: “Al di là del Giordano, nel deserto, nella pianura, di fronte a Suf, tra Paran e Tofel e Lavan, Chatzerot e Di Zahav”; il tempo preciso: “Nell’anno quarantesimo, nel primo giorno del mese undicesimo”; gli eventi precisi in seguito ai quali Mosè iniziò questo discorso: “Dopo aver sconfitto Sichon, re degli Emorei, che risiedeva in Cheshbon e Og, re di Bashan, che risiedeva in Asheterot e in Edrei”.
La Torah è eterna e universale, ma, per trovare in essa le risposte adeguate e per esporle in modo da renderle chiaramente comprensibili, occorre sempre, come fece Mosè, tenere presente dove ci troviamo, in che epoca viviamo, e in quale contesto di eventi si collocheranno le nostre parole.

Giuseppe Momigliano, rabbino

(26 luglio 2017)