speranza…

A partire dallo shabbat successivo al digiuno del nove di Av ha inizio una serie di sette sabati definiti con il termine “shiv’à denechamatà” ovvero “sette Sabati di consolazione”, che si contrappongono ai “tre Sabati di punizione”, legati al ricordo della distruzione del Santuario, quasi a stabilire emblematicamente il prevalere della misura della misericordia divina rispetto a quella della giustizia punitiva. Questi sette sabati, che ci accompagnano fino alla fine dell’anno nel calendario ebraico, sono caratterizzati dalla lettura liturgica quale passo profetico – Haftarah – di brani del profeta Isaia, contenenti accorate espressioni di conforto, speranza e incoraggiamento rivolte ai figli d’Israele, anche con evidenti riferimenti all’attesa messianica.
Un grande Maestro medievale, R. David Abudraham (vissuto in Spagna nel 14° secolo) ha interpretato metaforicamente le parole iniziali di questi sette brani profetici delle haftarot, come parti di un dialogo, che si sviluppa idealmente, coinvolgendo il profeta, il popolo d’Israele e l’Eterno.
La prima haftarah “Nachamù nachamù ammì – Consolate, consolate il Mio popolo” (Isaia 40,1), esprime il messaggio di conforto per Israele che il Signore affida ai profeti; il messaggio viene portato ma le prime parole della successiva haftarah ci dicono che il popolo, disperato e provato dalle sciagure, non sa darsi consolazione: “Zion ha detto: il Signore mi ha abbandonato, il mio Signore mi ha dimenticata“ (Isaia 49,14). Questo stato d’animo di profonda prostrazione viene riferito dal profeta al Signore, cosi inizia la terza haftarah: “Afflitta, agitata, priva di consolazione” (Isaia 54,11). Le parole iniziale delle tre successive haftarot vengono quindi interpretate come ulteriori e più forti conferme dei messaggi di consolazione che il Signore affida ai profeti “Sono Io, sono Io che vi consolo” (Isia 51,12). “Esulta o sterile che non avevi partorito” (Isaia 54,1) “. Sorgi, risplendi perché viene la tua luce”(Isaia 60,1). Finalmente confortata da queste promesse del Signore, Israele risponde con le parole che danno inizio all’ultima di queste sette haftaroth “ Gioisco pienamente nell’Eterno, la mia anima esulta di giubilo nel mio Signore”(Isaia 61,10). Abbiamo qui una sorta di midrash, che trasforma il messaggio univoco del profeta Isaia in un dialogo a più voci, nel quale proprio i confusi e incerti sentimenti del popolo e la amorosa, paziente sollecitudine del Signore, conferiscono forza e rendono ancora più vicine al nostro animo le parole di speranza che questi brani ci riportano.

Giuseppe Momigliano, rabbino

(2 agosto 2017)