Giuseppe Di Porto (1923-2017)

Si è spento come i Giusti, di Shabbat. Novantaquattro anni vissuti intensamente – testimonianza dell’orrore ma anche ferma volontà di guardare avanti, costruire una famiglia, assicurare una copiosa discendenza – Giuseppe Di Porto era uno degli ultimi Testimoni italiani della Shoah ancora in vita.
Un vero e proprio pezzo di storia recente della Roma ebraica che se ne va. Come in tanti hanno voluto affermare stamani con la loro presenza, rendendo omaggio al feretro durante il suo passaggio davanti al Tempio maggiore e poi in occasione dei funerali svoltisi nel settore ebraico del cimitero di Prima Porta. Centinaia di persone che si sono strette ai suoi cari, agli amici più stretti, alla Comunità tutta.
Nato a Roma, Di Porto sfugge al rastrellamento antiebraico del 16 ottobre ’43 trasferendosi alcuni giorni prima, insieme al cugino Amedeo, a Genova. Nel novembre dello stesso anno, entrambi sono arrestati (mentre si preparavano a fuggire) in seguito alla retata alla sinagoga del capoluogo ligure. Dopo un trasferimento al carcere di S. Vittore a Milano, sono deportati ad Auschwitz e quindi avviati al lavoro a Monowitz. Mesi di prove durissime, l’inferno spalancato davanti agli occhi, ma facendosi forza i cugini Di Porto resistono fino all’ultimo. A seguito dell’evacuazione del campo tutti i prigionieri rimasti in vita vengono quindi fatti marciare verso la Germania. Dopo tre giorni di cammino, come raccontato dallo stesso Di Porto a Liliana Picciotto nell’ambito del progetto del Cdec “Interviste alla storia”, tutti sono fatti fermare in una radura. Consapevole di quello che sta per accadere, Giuseppe prende l’iniziativa e scappa con il cugino. Amedeo viene colpito, Giuseppe riesce invece a fuggire. Durante la fuga incontra un prigioniero jugoslavo con il quale raggiunge Glewitz e da lì arriva a piedi a Chestochova. Al ritorno a Roma, dopo alcuni anni sposa Marisa Di Porto. Anche lei sopravvissuta ai campi di sterminio.
“Un dolore enorme per la nostra Comunità. Giuseppe è stato una figura fondamentale nel raccontare la tragedia della Shoah. Insieme a Marisa, anche lei sopravvissuta, ha costruito una famiglia ebraica numerosa, che è stata la risposta più bella e significativa nei confronti di chi voleva distruggere il popolo ebraico” hanno sottolineato in una nota inviata all’uscita dello Shabbat il rabbino capo rav Riccardo Di Segni e la presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello.
Afferma la presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, che ha espresso a nome dell’intero Consiglio dell’ente la propria vicinanza al figlio Mino (attuale Consigliere dell’Unione): “Con la sua scomparsa viene a mancare all’ebraismo italiano e all’Italia tutta un punto di riferimento importante. Dobbiamo tutti impegnarci a dare seguito al suo monito e al suo insegnamento a non dimenticare la Shoah. Una sfida ancor più rilevante alla luce di quanto accaduto quest’estate e che deve impegnare la società italiana nella sua interezza”.
Sia il suo ricordo di benedizione.

(3 settembre 2017)