Shir shishi – La sposa tra i fiori
Ci sono temi che apparentemente, di punto in bianco, diventano l’argomento centrale di discussioni letterarie, suscitano l’interesse dei giornali e dei mass media, fino a creare una nuova tendenza o perfino un movimento culturale. Così è stato negli anni Ottanta con la ricerca delle proprie radici, gli studi di gender dopo la formazione del movimento femminista e l’ecologia assurta ad un argomento centrale dopo le proteste del ’68. Questi risvegli dell’attenzione non sono mode passeggere o frutto di ondate populisti, arrivano invece, quando il lavoro di ricerca supera i confini dell’accademia e incontra l’interesse già esistente della gente per il proprio passato, per le culture abbandonate a causa di immigrazioni o faticosi inserimenti nei nuovi ambienti linguistici, mescolati alla nostalgia per i luoghi lontani. Proprio l’incontro tra i due poli, quello teorico e quello quotidiano e spontaneo, garantisce la conservazione di bellissime tradizioni orali, come il lavoro di Joel Engel, l’etnologo e musicista che ha raccolto e registrato le melodie dei gruppi klezmer negli sperduti shtetl della Russia zarista, oppure quello degli studiosi dotati della sensibilità di coniugare la musica israeliana di stile arabo con antiche tradizioni sefardite, considerate per troppi anni espressione folcloristica degli ebrei di origine orientale. Shir Shishi ha già citato il lavoro poetico di Ronny Someck, Erez Biton e il giovane Shlomi Hatuka, accumunati dall’identità israeliana sefaradita ma molto diversi tra loro dal punto di vista poetico e ideologico.
Non si tratta di elogiare il movimento Mizrahi in sé, ma sottolineare la consapevolezza sociologica e culturale nata con gli studi approfonditi e la raccolta di materiale sulle tradizioni musicali provenienti dalla Spagna e dai paesi in cui hanno trovato rifugio gli esuli dopo la Cacciata del 1492. A questo argomento si è dedicata Liliana Treves Alcalay esplorando le diverse espressioni popolari, soprattutto quelle delle donne, che con il loro ruolo di custodi della memoria hanno permesso di portare alla nostra conoscenza la storia articolata di un ricco repertorio sefardita. Canti di diversi generi, influenzati dalla vita, la lingua e i costumi musulmani o cristiani in cui erano inserite la comunità ebraiche prima e dopo l’editto di Granda. Proprio in occasione della Giornata della Cultura Ebraica incentrata sul tema della Diaspora ho scelto un canto nuziale dolce e sensuale, tradotto dalla Alcalay nel bel libro, Canti di corte e di judia, con romancero e cantigas ebraici cantati e suonati durante occasioni solenni (come il famoso Kuando el rey Nimrod) e feste di famiglia. A volte erano una sorta di prestito preso dalle tradizioni locali e arricchito di espressione in ebraico, di nuovi motivi e interpretazioni musicali. E sono proprio queste mescolanze culturali e le numerose esecuzioni con mille varianti dello stesso canto che rendono l’espressione considerata per anni minore, degna dell’onorevole titolo Musica Popolare.
Sotto il limone, la sposa.
Sotto il limone, la sposa
e i suoi piedi nell’acqua fresca
e sotto la rosa.
Sotto il limone, la sposa.
Sotto il limone, la sposa
e i suoi piedi nell’acqua gelata
e sotto la rosa.
Dove mia sposa amata?
dove mia sposa amata?
Io costruirò con voi la mia vita
e sotto la rosa.
Che cosa fai, sposa desiderata?
Che cosa fai, sposa desiderata?
Dedico a voi la mia vita,
e sotto la rosa.
Sarah Kaminski, Università di Torino