Corrispondenza
d’amorosi sensi

Anna SegreIncontrarsi una volta all’anno, in una domenica di settembre, magari in una piccola località piemontese normalmente priva di vita ebraica, cogliere l’occasione di farla rivivere almeno per un giorno e contemporaneamente rivedere parenti e amici dopo la dispersione estiva. Senza dubbio, almeno per noi ebrei torinesi, la Giornata Europea della Cultura Ebraica e le tradizionali visite ai cimiteri hanno qualcosa in comune oltre alla coincidenza di date che purtroppo talvolta costringe a scelte e rinunce. (Poco male: in fin dei conti non siamo noi ebrei i veri destinatari della Giornata della Cultura, e il problema riguarda poche persone). Qualcuno potrebbe trovare l’accostamento tra cimiteri e Giornata della Cultura un po’ lugubre (ma in realtà non lo è affatto, come ha spiegato magistralmente Foscolo un paio di secoli fa). Qualcun altro, viceversa, potrebbe rilevare che paradossalmente le visite ai cimiteri sono parte di un ebraismo vivo e reale mentre le attività per la Giornata della Cultura sono un ebraismo finto, in vetrina, che si mette in mostra per farsi contemplare dal mondo esterno. Anche questo, però, sarebbe un giudizio parziale e riduttivo. In realtà la possibilità di scegliere tra le attività previste per la Giornata della Cultura e le visite ai cimiteri è un gigantesco privilegio. Quanti ebrei al mondo hanno ancora la possibilità di recarsi sulle tombe dei loro bis o trisnonni? Quanti possono visitare le Comunità in cui i loro antenati hanno vissuto per secoli sentendosi ancora a casa propria? E quante persone, appartenenti a diverse etnie e religioni, sono in fuga, affrontano esili di cui non conoscono la durata, temono o rischiano un’illacrimata sepoltura lontana dai propri cari?
Anche le visite ai cimiteri sono un’occasione per riflettere su diaspora e identità.

Anna Segre

(8 settembre 2017)