La teologia come racconto

Schermata 2017-09-08 alle 13.07.22Davanti a un folto pubblico due storici discutono il pensiero del loro papa, il pubblico interviene rumorosamente a sostegno dell’uno, dell’altro o contro tutti e due. Succede a Mantova Festivaletteratura. Lo storico Gian Enrico Rusconi ha scritto un libro, La teologia narrativa di Papa Francesco, in cui si interroga sul primo papa venuto dall’altra parte del mondo, che – come tale – “vede tutto un po’ a rovescio”. “Con Bergoglio – afferma Rusconi – la teologia è diventata conversazione, reinvenzione semantica, espressività emotiva, flessibilità concettuale”. La forza espressiva del pontefice si alimenta delle storie della Bibbia e del Vangelo, narrate come eventi del quotidiano, secondo Rusconi e il collega Marco Melloni (nell’immagine). Quando Bergoglio racconta la Genesi, per esempio, ha spiegato Melloni, studioso di storia del Cristianesimo e del Concilio Vaticano II, non lo fa in maniera prescrittiva: la Creazione del mondo è per antonomasia un avvenimento “una tantum”, la Bibbia non vuole qui prescrivere come deve avvenire la Creazione, perché dentro al suo sistema non ne è prevista una seconda; la Creazione ci viene narrata semplicemente perché così è stata, una volta per tutte. Quando la Bibbia descrive la Genesi, essa parla a un gruppo di ebrei esuli a Babilonia, circondati da una cosmogonia – quella babilonese – articolata e crudele, popolata di divinità sadiche incapaci di compassione, che ignorano la debolezza insita nell’essere umano punendolo per ogni sua colpa. Il racconto della Genesi, di contro, descrive un Dio capace di misericordia, pronto a perdonare la Sua creatura, addirittura a condividerne le responsabilità, conscio del fatto che è stato Lui, il divino, a crearlo con tutti i suoi difetti e che non può quindi oramai disinteressarsene, ma deve assisterlo, perdonarlo e correggerlo. Emana da Genesi uno spirito di corresponsabilità fra l’umano e il divino affatto nuova per l’Antichità e che spinge gli stessi esseri umani a mostrarsi più solidali anche fra loro. Un papa che sa dire anche “Non lo so” e “Posso pregare, ma non ho una soluzione” trasmette insicurezza o invita ad assumersi reciproche responsabilità, a farsi ciascuno “custode di suo fratello”? Domande che echeggiano nella Cappella Palatina di Mantova, che sento molto lontane, abituata e cresciuta come sono in un mondo in cui anche il direttore della più rigorosa accademia talmudica può dire senza alcun imbarazzo ai suoi allievi: “Non so che cosa ne penso, ci devo pensare”, ma penso anche a quanto è bello, a volte, sbirciare un po’ il cammino degli altri.

Miriam Camerini