Casale Monferrato, visite 2.0

La Giornata Europea della Cultura Ebraica è iniziata presto a Casale Monferrato: il giorno prima, il 9 settembre. In città c’è la Notte Rosa, piove, ma i musei sono aperti e ben 80 visitatori scelgono quello di via Salomone Olper, dove per la prima volta si può compiere la visita con una guida virtuale scaricabile gratuitamente dall’applicazione di Casalebraica. Un software che identifica “al centimetro” la posizione del visitatore e gli spiega in dettaglio ogni oggetto del museo che sta osservando. Per di più integrando le nozioni con contributi musicali e testimonianze. Tutto direttamente sul proprio cellulare o sul tablet che la Comunità mette a disposizione degli ospiti. Anche questo è un modo per celebrare la cultura.
Si inizia presto anche domenica 10 settembre, alle 11 in Sala Carmi con l’inaugurazione di una mostra fotografica. Il tema scelto della Giornata Europea è quello della Diaspora, e la mostra lo traduce in una serie di immagini che seguiranno il significato delle tante parole destinate a ripetersi fino a sera inoltrata. Sono 5 scatti riprodotti in grande formato, di Giulio Raimondi, fotoreporter di fama mondiale (Time, NY Time, Le Monde, CNN…), effettuati nei campi che raccolgono i rifugiati siriani a Sud di Beirut. “Il mondo ebraico è profugo dal 70 DC” spiega Elio Carmi – Vicepresidente della Comunità Ebraica, ma ai presenti viene in mente anche un altro parallelismo, quello con la festa dei Sukkot, le capanne con cui gli ebrei ricordano ancora oggi il loro viaggio nel deserto. Perché le immagini ritraggono proprio questo: capanne, tende: “provisional interiors”, come recita il titolo della mostra. Sono per usare un’altra parola vicina all’ebraismo “ghetti”, dove però i profughi ricostruiscono l’intimità domestica tra pareti di stoffa e appendono persino quadri e ricordi
La mostra chiuderà il 24 settembre con un incontro con l’autore.
Casale GECE 3Nel pomeriggio, in sinagoga, come tutte le giornate di ricorrenza ufficiale, si esibisce un piccolo gioiellino musicale, nato proprio nel ghetto casalese. È il coro Gesher, parola che in ebraico significa ponte (tra le culture ovviamente): sette piccoli cantori (Kiara Bilali, Alessia Cappellara, Carlo Castagnoli, Jvonne Chiarello, Michelle Reyes, Giulia Varzi, Francesco Mauri) e un violoncello (Elisa Raccozzi), diretti da Erika Patrucco, per un piccolo concerto di canzoni tradizionali ebraiche e di compositori che ci ricordano quanto la Casale ebraica sia stata importante anche nella musica. Come Sergio Liberovich, la cui mamma, Cecilia Treves, faceva parte della comunità o Salomone Rossi il musicista alla corte dei Gonzaga che ben conosceva la sinagoga monferrina. Il momento musicale fa da preambolo ai discorsi ufficiali delle autorità che hanno appena sperimentato la loro visita con assistente virtuale. L’assessore regionale alla Cultura Antonella Parisi, il sindaco di Casale Tutti Palazzetti, Giorgio Mortara, vicepresidente dell’UCEI, l’on Fabio Lavagno, Roberto Gabei, Presidente della Fondazione Arte e Cultura Ebraica e Maria Vittoria Gattoni, presidente di Mondo.
“Sono voluta essere qui oggi – spiega l’assessore Parisi – Perché Casale e la Comunità sono una cassaforte di cultura per la nostra regione. Una Comunità che si riconosce non solo nel passato ma nella sua capacità di tener vivi i legami con il presente per una giornata che, per il tema scelto, fa riflettere sui temi dell’accoglienza e dell’integrazione”. L’assessore ha concluso con un grandissimo in bocca al lupo alla città per la candidatura a capitale della Cultura Italiana. Parole a cui si è associata il sindaco Palazzetti “La comunità è un elemento di crescita culturale e civile per tutti noi, per i non ebrei è un momento di riflessione sull’integrazione particolarmente attuale in un epoca che vede il nostro paese impegnato ad accogliere chi scappa da guerra o povertà. Questa giornata è un momento di gratitudine di Casale verso la Comunità ebraica”.
Giorgio Mortara è poi rimasto davanti all’Arca Santa anche per il successivo appuntamento pomeridiano, un ricordo di Mojzesz Aron Wolf, tracciato dal figlio Silvio Wolf, visibilmente emozionato: “le coincidenze che mi portano qui sono talmente tante che io non riesco a credere che siano coincidente – spiega il famoso artista milanese – un anno fa mi è arrivata una richiesta di una signora che è qui presente, Cinzia Robbiano: stava facendo ricerche sugli ebrei stranieri internati in Italia e mi ha chiesto di mio padre. Ho pensato che era ora di dover recuperare la sua memoria, unire i frammenti che conoscevo, rintracciare, testimonianze e documenti, contattando anche altri ricercatori… In famiglia di molte vicende non si parlava…”. Il processo che Wolf compie dopo questa premessa va oltre la biografia è, appunto, un racconto, anzi tanti racconti che formano la vita di questo medico ebreo polacco, nato a Varsavia nel 1915. Le leggi antisemite gli preclusero l’università della sua nazione e Wolf venne in Italia nel 1935, laureandosi in medicina a Genova nel 1940. Dieci giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia gli costò, in quanto polacco ed ebreo, l’internamento nel campo di Ferramonti – Tarsia in provincia di Cosenza, un luogo tanto insalubre quanto poco conosciuto nella storia italiana, dove oltre 2000 prigionieri vennero rinchiusi fino alla liberazione alleata. Non Wolf però, che nel 1942 con uno stratagemma riuscì a farsi inviare al confino libero a Casale Monferrato. Qui conosce un altro medico ebreo: Giorgio Ottolenghi, attuale presidente della Comunità Ebraica. Ottolenghi riuscì a introdurlo all’ospedale di Casale Monferrato, dove poté completare il suo tirocinio sotto falso nome. In realtà tutti conoscevano la sua vera identità, ma per tutti e persino per i documenti Wolf divenne un improbabile Rossi Mario, nato a Napoli nel 1917. Dai casalesi e dal personale dell’ospedale non venne mai tradito, persino i carabinieri si recarono da lui una sera avvertendo che se lo avessero trovato in casa il mattino dopo lo avrebbero internato.L’amicizia con Ottolenghi continuò anche in Svizzera, dove fuggirono insieme nel dicembre del 1943. E proprio Giorgio Ottolenghi era lì, domenica, in prima fila a completare il racconto con la propria lunghissima memoria: Mojzesc Wolf scamperà alla guerra, si sposerà nel 1945 e diventerà un medico molto apprezzato a Milano, dove morirà nel 1992.
Silvio Wolf nel 2002 venne chiamato a realizzare un’opera a Casale per la mostra diffusa nella città “Il Tempo della profezia”, in quell’occasione scoprirà che lo spazio destinato a lui è all’ex cinema Moderno, sala per anni di proprietà della famiglia Ottolenghi. Coincidenze? Silvio Wolf proprio non ci crede e crea per l’occasione un’istallazione dedicata al caso e a suo padre “Oggi”. L’incontro si conclude proprio con le toccanti testimonianze audio raccolte su Mojzesc che componevano l’opera. Frasi le cui trascrizioni vengono regalate al pubblico.
L’ultimo appuntamento di questa lunga giornata è anche quello con l’ultimo appuntamento di una rassegna musicale cominciata 6 mesi prima dal titolo “Il Suono e Segno”. Davanti all’Arca Santa il divertimento ensemble con un programma dedicato ovviamente a “La musica della Diaspora”, e forse la musica, un po’ come la cucina, è proprio uno strumento estremamente sofisticato per misurare la dispersione culturale di un popolo. È incredibile come il “sapore” delle note ebraiche si trovi in tanta musica differente. La serata vede accompagnati dal pianoforte di Maria Grazia Bellocchio esibirsi i cantanti della Masterclass tenuta da Alda Caiello con un programma incentrato interamente sulla musiche del XX secolo. Al soprano Beatrice Binda spettano e due melodie ebraiche e le “cinq mélodies populaire grecques”di Ravel, al controtenore Jacopo Facchini la Chanson de Bilits di Debussy. Francesca Gerbasi esegue le “Quattro liriche di Antonio Mochado” di Luigi Dallapiccola (e grazie al direttore artistico della rassegna Giulio Castagnoli scopriamo che la moglie di Dallapiccola era ebrea) e infine Anna Piroli canta le 4 canzoni popolari di Luciano Berio.
Il prossimo incontro alla Comunità di Casale è invece una presentazione letteraria. Si parte dal libro “Ridammi la vita: dai Salmi di Davide ad una visione etica contemporanea” per intavolare un dibattito che vede oltre all’autrice Stella Bolaffi anche il giornalista Bruno Quaranta, Don Giampaolo Cassano, lo psicoanalista Claudio Arnetoli, Claudia De Benedetti (moderatrice) e il sindaco di Casale Titti Palazzetti.