Attualità e inattualità del Bund

caloMassimo Pieri ha appena pubblicato “Doikeyt noi stiamo qui ora! Gli ebrei del Bund nella rivoluzione russa. Mimesis, Milano – Udine, 2017, prefazione di Gherush 92 a cura di Valentina Sereni. Il volume meriterebbe di essere recensito da storici; tuttavia, poiché l’argomento impinge verso più versanti e s’interseca con tematiche assai attuali, è opportuno farne un breve commento, con l’auspicio che si promuova un dibattito su Bund, sionismo e assimilazione.
Il Bund era l’Unione dei lavoratori ebrei di Russia, Polonia e Lituania, e fu costituito nel 1897 all’insegna del socialismo per far fronte non soltanto alle terribili discriminazioni degli Zar ma anche alle aggressioni mortali dei pogrom.
Avvento e sviluppo avvenuti non senza contraddizioni, anzi, avanzerei l’ipotesi che il Bund sia nato, vissuto e si sia estinto nel segno degli ossimori. Ad esempio, quando il Bund dovette far fronte ai pogrom posti in essere dagli operai cristiani, avrebbe potuto accorgersi che il socialismo non avrebbe debellato l’antisemitismo.
Mentre il sionismo si proponeva di normalizzare la condizione del popolo ebraico, restituendogli la terra d’Israele dalla quale era stato strappato, il Bund(ismo) era antisionista e considerava che il socialismo e l’autonomia culturale avrebbero posto fine alle sofferenze degli ebrei. Certamente, sembra di ardua comprensione l’accento posto sulla sola cultura (una sovrastruttura) da un movimento di radici marxiste o comunque non estraneo al marxismo e quindi al materialismo dialettico. Questa contraddizione era stata rilevata da Dov Ber Borochov (Il tempo che verrà – Ebrei tra Galut e Palestina, a cura di Alessandra Cambatzu, nota di Vincenzo Pinto, Salomone Belforte e C., Livorno, 2013, p. 43). Questo volume dovrebbe essere studiato almeno nelle scuole ebraiche perché il pensiero borochoviano è fondamentale per spiegare la dialettica Israele/diaspora.
Come accennavamo, l’opera di Pieri mette in luce il coraggio del Bund ed il ruolo storico che ha svolto. In questo senso, si è trattato di un movimento di grande valore e che fa parte a pieno titolo della nostra storia, ancorché antisionista. Ciò detto, dovremmo soggiungere che è legittimo ipotizzare che sia stata la sua contrapposizione al sionismo a portarlo al declino e all’estinzione. Un esito dettato dal confronto impari a sinistra fra un’ideologia basata sull’improbabile binomio fra socialismo e cultura e un’altra ideologia, il sionismo socialista di scaturigine marxista promosso dalla personalità e dal talento di Dov Ber Borochov. Ipotizzo che se si leggesse Borochov oggi giorno, si capirebbe tanto anche delle migrazioni (vedi, in inglese: https://www.marxists.org/archive/borochov/index.htm.). Il pensiero borochoviano dovrebbe essere oggetto di studio nelle scuole ebraiche perché non si può prescindere dalla sua analisi della dialettica Israele/diaspora.
Quanto al Bund, sarebbe da verificare quanto ne sia rimasto nel nostro attuale imprinting intellettuale. Se il pensiero del Bund tendeva apertamente ad evitare l’assimilazione, una sua nuova versione potrebbe sortire l’effetto contrario. Laddove si seguisse ora il seriore combinato disposto dell’ebraismo come fatto culturale e della Weltanschauung socialista, si arriverebbe a diffondere un pensiero non certo premiato dalla storia: che una società pregna di valori socialisti sia scevra dall’antisemitismo. Un’idea sbagliata ma molto comoda, in quanto porta una facile popolarità e, con essa, l’accettazione da parte di vasti strati della popolazione.

Emanuele Calò, giurista

(12 settembre 2017)