Ticketless L’antisemitismo dei poveri
Rileggo, dopo tanti anni, L’antisemitismo dei poveri, forse il libro più originale che abbia scritto Guido Fubini. Sta per essere ristampato, una buona notizia. Non tutti condivideranno questo mio giudizio, a me pare che l’acutezza del giurista e la lungimiranza dell’uomo politico – qualità che tutti riconoscono all’autore – emergano in queste pagine più che nelle opere maggiori. Apprezzato è il volume sulla condizione giuridica degli ebrei nell’Italia unita, saggio che invece sembra risentire del clima culturale in cui è stato progettato, condizionato da un «differenzialismo» allora agli albori e oggi trionfante, che il prefatore Jemolo gli contestò (secondo me, oggi, Fubini stesso, che tutto era fuorché un dogmatico, contesterebbe a se stesso, alla luce dei particolarismi venuti poi in superficie e dominanti negli eccessi identitari dei nostri giorni).
Rileggo, dopo tanti anni, L’antisemitismo dei poveri nei giorni in cui sulle prime pagine dei quotidiani veniamo informati delle venature razziste e antisemite di Charlottesville e delle manifestazioni di odio interetnico e neonazista emergenti negli Stati Uniti di Trump. Guido Fubini era stato buon profeta nel capitolo intitolato Il rifiuto negro. Era riprodotta la poesia Antisemitism di uno studente di colore pubblicata per la prima volta dalla rivista «Evergreen» nel 1969. Ricordo che leggendo il libro per la prima volta rimasi colpito dal fatto che Fubini avesse scelto di iniziare il suo saggio dal «rifiuto negro», quando tutti eravamo ancora avvolti dalla certezza granitica che l’America avesse definitivamente superato le barriere delle separazioni. Non era così e non è così, a giudicare dalle notizie dell’ultima ora. L’antisemitismo dei poveri prevede questi ritorni ciclici, per nulla rassicuranti nemmeno per chi, come chi scrive, a tutto vuole credere meno che alla natura eterna del pregiudizio contro gli ebrei.
Alberto Cavaglion