Ticketless – La storia dell’amore

alberto cavaglionTemo che l’ultimo film di Rad Mihaileanu, La storia dell’amore, rischi di passare inosservato o schiacciato da critiche ingenerose. Sarebbe un peccato. Da Train de vie, a La sorgente dell’amore, soprattutto dal suo film più bello, Il concerto il sorriso amaro di questo regista ci accompagna in anni in cui il rapporto fra ebrei e cinema non sempre ci ha soddisfatto. Mihaileanu ha un cuore mediterraneo, melodrammatico, oserei dire pucciniano. I suoi rivali in amore ci sono famigliari; i suoi film fanno rima con le parole cuore, amore, dolore. Sono spesso storie circolari che arrivano al cuore della vicenda per lunghi percorsi concentrici. In questa ultima prova si inizia a capire qualche cosa soltanto dopo un’ora. Non riesci a seguire tutta la la-storia-dellamore-55trama, ma rimani tranquillo e ti diverti: sai comunque che alla fine il regista ti guiderà per mano alla conclusione. Capisci di essere in buone mani. Alla fine Mihaileanu ti offre un fazzoletto per le lacrime che qui dagli occhi dei personaggi passano direttamente agli spettatori più sensibili.Spinoza al cinema non funziona. Non bisogna sempre e soltanto capire. Bisogna ridere, bisogna soprattutto piangere. Questo insegna Mihaileanu. Il problema è che il melodramma dell’amore in Italia non interessa più nessuno, appartiene al passato, come la sceneggiata napoletana, la cui storia Goffredo Fofi ha ricostruito in un libro che sto leggendo in questi giorni. La storia dell’amore strizza l’occhio a due altri registi, che partono dalla cultura popolare ebraico-orientale, i fratelli Cohen, e dalla lettura di Safran, Mihaileanu ricava qualche spunto sull’America post 11 settembre, ma il mix che ne deriva è originale, dolce, toccante. Gemma Arterton è bellissima, anche sul letto di morte; Elliott Gould recita come meglio non si potrebbe la parte di un fantasma redivivo. Il bambino che vende limonate per potersi costruire un’arca e salvare il mondo sapendo di essere uno dei saggi grazie ai quali il mondo sarà salvato è uno dei personaggi meglio riusciti di una cinematografia che negli ultimi tempi con le figure infantili ha saputo essere sgraziata e impietosa. Senza dire del filtro, quello delle storie d’amore, che Mihaileanu ha saputo trovare per narrarci storie di pogrom. Quello giusto. Il film è lungo, ma non ci si annoia, si piange come è giusto piangere vedendo un melodramma. Bisogna non avere cuore o non avere mai conosciuto la storia dell’amore per rimanere indifferenti di fronte a questo film.

Alberto Cavaglion