…collettivo

Quest’anno a Gerusalemme, stanotte e domani alla vigilia, e domani sera e Sabato giorno di Yom Kippùr, si diranno le selihòt in due minyaním italiani: a Rehov Hillel e alla Scuola Evelina de Rothschild. La preghiera di Minhà ancora a Rehov Hillel e a Evelina. Kol Nedarím e Arvít a Rehov Hillel, a Rehov Chopin e a Evelina. E le tefillot di Shachrít, Musàf, Minhà, Ne’illà e Arvít nuovamente a Hillel e a Evelina. Tre Minyaním di Italkím a Gerusalemme, di cui due sempre operanti in simultanea, oltre a quelli sempre più numerosi nelle altre città di Israele – a Ramat Gan, a Tel Aviv, a Netanya, a Ra’anana, a Haifa e in altre città ancora – potevano sembrare un sogno, forse meglio un’utopia, solo pochi anni or sono. Oggi questa realtà in continua espansione è un elemento consolidato della società israeliana e dell’assorbimento della nuova immigrazione dall’Italia. Se in passato i pochi centri esistenti potevano pretendere a una posizione di primato, oggi questa non è garantita e l’egemonia o l’insuccesso derivano dalle regole forse crudeli ma difficilmente eludibili di un mercato basato sulla libera concorrenza. La Sinagoga – il Tempio, il Miniàn – come fulcro di integrazione è un elemento forse non abbastanza compreso dalle autorità rappresentative e ufficialmente preposte all’accoglimento dei nuovi arrivati in Israele. La loro caratteristica principale, di fatto, spesso sembra essere costituita dalla loro assenza e dal loro silenzio. In Italia – e in molti altri paesi europei – i luoghi di culto e di incontro legati al calendario dell’anno lunare e delle festività ebraiche sono stati e sono i principali fornitori di vita ebraica aggregativa. Nessun’altra attività collettiva può pretendere di avvicinarsi sia pure lontanamente al numero di persone coinvolte – non i centri culturali, sociali, ricreativi. Le scuole ebraiche possono costituire l’eccezione – forse a Roma, meno a Milano – dal punto di vista del numero delle persone coinvolte, anche perché l’epocale calo della natalità di questi ultimi decenni ha molto ridotto la massa critica dei possibili utenti della scuola. Se tutto questo è vero, dovrebbe conseguirne una riflessione sulle forze trainanti del collettivo ebraico, la loro presenza e la loro capacità nel quadro della nuova aliyah in Israele e magari, al di là di questa, nelle comunità di origine. È una speranza e un augurio che formuliamo all’inizio del Nuovo Anno e alla vigilia del Giorno dell’Espiazione.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme