Il giorno di Kippur

Sara Valentina Di PalmaCosì abbiamo recitato anche questo tashlich sulle rive della Brana, con altre tasche da svuotare non più nella nostra fontanella senese davanti al Tempio. “E tu Signore getterai tutti i loro peccati nella profondità del mare”, con la speranza di disfarci dei sassolini-peccato per fare abbastanza posto ai buoni propositi. Iniziano gli Yamim Noraim, e la dolcezza della mela con il miele gustata a Rosh HaShanà lascia il posto alla solennità del bilancio sulle azioni compiute nell’anno concluso e sui propositi per quello appena cominciato, ma per pensarci con adeguata introspezione e prepararci al giudizio che si chiude a Kippur ci sono solo questi dieci giorni terribili, basteranno?
Ad ogni Kippur, e di ognuno ci sono ricordi particolari, ritornano alla memoria le parole di Sandro Lopes Nunez, che, bambino di otto anni, aveva incontrato dei reduci dai lager: “Al Kippur del ’45 […] centinaia e centinaia di profughi di passaggio […]. Io vedevo che il giorno di Kippur loro mangiavano. Io chiesi a mia mamma «ma perché questa gente mangia?», li ho considerati subito ebrei, erano al Tempio! Mia mamma mi disse: «Non hanno commesso peccati»” (in S.V. Di Palma, Se questo è un bambino. Infanzia e Shoah, Giuntina 2014, p. 7).
Quest’anno le immagini si sovrappongono a quelle della mostra Marino Marini. Passioni visive (Pistoia, Palazzo Fabroni, 16 settembre 2017- 7 gennaio 2018), con un dubbio: come può Germaine Richier aver scolpito la sua Pomona, dalle forme piene foriere di fertilità e di abbondanza, nel 1945? Basta a spiegarlo l’aver vissuto gli anni della guerra in Svizzera? Per Marini invece non è più tempo di Pomone, tant’è che già nel 1943 aveva realizzato l’emaciato Arcangelo, nel mio sentire molto più consono ai tempi.
Anche i suoi celebri cavallo e cavaliere sono, dal dopoguerra in poi, rovinosamente a terra.

Sara Valentina Di Palma