Machshevet Israel – Soloveitichik e Leibowitz: l’halakhah torna al centro

massimo giulianiNon sono molti i filosofi e i teologi ebrei che nel corso del Novecento abbiano messo l’halakhah al centro del loro “pensiero ebraico”. Per molti versi è giustificato dire che, al suo culmine, la modernità ebraica ha rimosso l’halakhah dal proprio orizzonte di riflessione: è quasi censurata dagli architetti della riforma, è trascurata dai teorici del sionismo, non è centrale in Buber, resta embrionale in Rosenzweig, viene riassorbita nell’etica da Hermann Cohen e Levinas… Il particolare di Israele è così riassunto nell’universale dell’umano. Tra i pochi a restaurarne la specifica forza cognitiva, oltre che il valore esistenziale, vanno ricordati il rabbino lituano-americano Joseph B. Soloveitchik e il bio-chimico nonché filosofo israeliano Yeshayahu Leibowitz.
Una bella sintesi del loro approccio si trova in Benjamin Gross, traduttore in francese di Nefesh ha-chayyim di Chayyim di Volozihn e di Ish ha-halakhah ossia la principale opera di filosofia halakhica del Rav di Boston: “I due autori [Leibowitz e Soloveitchik] accordano entrambi all’halakhah un posto fondamentale nell’impianto complessivo del giudaismo ed entrambi sono unanimi nel considerare l’halakhah il prodotto dell’opera dei saggi [i chakhamim] del Talmud, che hanno in tal modo dato al giudaismo la sua struttura definitiva. Ora, secondo Leibowitz sono questi saggi che hanno conferito ai testi della Scrittura il loro carattere sacro; al contempo essi hanno fissato dei principi a partire dai quali si sono potute formulare le regole di vita che la comunità ebraica ha accettato come regole di condotta religiosa. Per Leibowitz dunque l’autorità della Scrittura deriva da quella dei saggi dell’halakhah, e di conseguenza quest’ultima è un’opera puramente immanente che riposa sulla speranza di corrispondere alla volontà divina. Secondo Rav Soloveitchik, invece, l’autorità dei saggi ha la sua fonte nella Legge scritta, che cronologicamente precede e giustifica de jure la Legge orale. L’halakhah è l’applicazione della regola scritta e rivelata a situazioni sempre nuove (…) Per entrambi, è vero, l’halakhah si presenta come assiomatica, ma mentre per Leibowitz essa è a posteriori e di natura empirica, per rav Soloveitchik è indipendente dall’evento storico e normativa per rivelazione. Ossia, essa si costruisce a partire da principi normativi a priori”.
Due osservazioni. La prima: è la loro formazione scientifica e al contempo l’acuta sensibilità filosofica moderna che porta i due autori, per altro assai diversi tra loro per formazione e ruoli pubblici, a convergere sulla centralità e sulla dimensione “epistemologica” dell’halakhah nella Weltanschauung ebraica. Seconda osservazione: il fatto di convergere nel riconoscere centralità e rilevanza all’halakhah non fa venir meno né abolisce le profonde divergenze sul modo di pensarla, ossia di giustificare lo sforzo dei maestri nello sviluppare e spiegare le regole della condotta religiosa. Il fatto di avere una dimensione immanente e storica, per Leibowitz, nulla toglie al valore vincolante dell’halakhah per la “fede ebraica”, che dev’essere Torah lishmà, un’osservanza fine a se stessa e non mossa da altre finalità che non siano la pura obbedienza (o amore per Dio). D’altra parte, per Soloveitchik lo sforzo di pensare e rinnovare l’halakhah non è affatto impedito dalla sua natura di “rivelazione divina” e dal fatto di derivare dall’autorità più alta, quella della Torah scritta. Per entrambi è impensabile un conflitto tra sfera cognitiva e sfera religiosa, distinzione e persino separazione sì, ma conflitto o alternativa no. La loro comune frequentazione e sintonia con il pensiero di Maimonide li ha resi aperti alla dialettica ma immuni alla dicotomia tra filosofia, scienza e halakhah. Diceva, tra l’altro, Leibowitz: “Chiunque voglia arrivare a una lettura autentica delle opere di Maimonide deve riconoscere la profonda unitarietà e omogeneità della sua figura e dei suoi scritti, e guardare al Mishnè Torah e alla Guida dei perplessi come a un unico sistema”.

Massimo Giuliani, docente al Diploma Studi Ebraici, UCEI