Giacobbe…

Invio questo testo nel tristissimo momento in cui ricevo la notizia della scomparsa del nostro Maestro Rav Giuseppe Laras z.tz.l. che per tutta la vita ha portato la “voce di Giacobbe” alta e distinta “leshem HASHEM”. Baruch Dayan Ha-Emet

La Torah descrive con accenti di particolare pathos il momento in cui il patriarca Isacco si accinge ad impartire la benedizione destinata al figlio primogenito, con l’intenzione di rivolgerla ad Esaù, mentre di fronte a lui si trovava invece Giacobbe; questi, come è noto, si era presentato al padre sotto le veci del fratello, a ciò sollecitato dalla madre Rebecca che, per intuito materno e per messaggio divino, era convinto che proprio Giacobbe fosse il più degno a ricevere la benedizione paterna.
Dopo aver ascoltato la voce del figlio e tastato il suo braccio, Isacco, nell’incertezza della cecità che lo aveva colpito, esclama:“ La voce, la voce è di Giacobbe, ma le mani sono di Esaù” (Genesi 27,22) che, nel senso letterale, attestano il dubbio che lo coglie nel momento decisivo – il tono della voce ed anche il modo di esprimersi erano riconoscibili come quelli di Giacobbe, mentre la pelosità del braccio erano attribuibili ad Esaù; nel significato metaforico queste parole sono state interpretate come espressione dei caratteri diametralmente opposti che avrebbero distinto le discendenze di Giacobbe ed Esaù: “la voce” – quindi le prerogative spirituali, sarebbero state caratteristiche proprie del popolo ebraico, mentre “le mani”, vale a dire la forza e la violenza, avrebbero caratterizzato vari popoli e civiltà che nel corso della storia si sarebbero levati contro Israele con malvagi propositi.
Il midrash, sviluppando il senso metaforico delle parole di Isacco, si sofferma sulla particolarità del testo, in cui la parola“ Kol”, che significa voce, ripetuta nell’esclamazione del patriarca, appare scritta in due modi diversi, la seconda volta nella sua grafia completa, con la lettera “vav” ad indicare la vocale “o”, mentre nella prima compare in forma mancante, priva della “vav”, tanto da renderla assimilabile alla radice “kal” che ha invece il significato di rendere fievole ed indebolito. Nell’interpretazione del midrash, riportato a nome di R. Berachyah ( Bereshit Rabbah 65,20), la frase verrebbe quindi a significare “ quando Giacobbe si esprime con tono sussurrato, cioè indebolisce la propria dimensione spirituale o usa la parola in modo improprio, come fanno coloro che spargono a mezza voce parole malevoli ed insinuazioni, allora prevale la “mano di Esaù”, quando invece Giacobbe scandisce la propria voce, quando essa si ascolta aperta e sincera, sulla bocca di tutti coloro che studiano la Torah e rivolgono le preghiere al Signore, allora la violenza e la forza bruta non hanno possibilità di prevalere.

Giuseppe Momigliano, rabbino