BIOGRAFIE Groucho, una storia americana

groucho1Groucho Marx / GROUCHO E IO / Adelphi

Groucho Marx era Groucho in ogni sua manifestazione, e la comicità che irradiava sullo schermo si nutriva delle ricche assurdità della sua vita. Così la sua autobiografia Groucho e io, tradotta da Franco Salvatorelli e ripubblicata di recente da Adelphi, non poteva certo somigliare alle tediose elencazioni di travolgenti successi che spesso costituiscono le vite delle star. E questo fin dall’inizio, fin dalla scelta del nome (Julius Henry Marx), destinato a conquistare le simpatie di uno zio il cui patrimonio “risultò consistere in una palla da biliardo numero nove (rubata), una scatola di pasticche per il fegato e uno sparato di celluloide”.
Cinquant’anni di epopea americana (e ebraico-americana: i Marx erano ebrei originari dell’Alsazia emigrati negli Stati Uniti) ci passano davanti attraverso lo sguardo ilare di Groucho: la giovinezza dei cinque fratelli trascorsa a Yorkville, nell’East Side di Manhattan, col padre sarto (“Che papà fosse un sarto, era un’idea condivisa soltanto da lui”) e la madre-agente (“Mia madre alla fine giunse alla conclusione che il modo migliore di sfondare in teatro era non già di lanciare un figlio alla volta, ma fare un lancio all’ingrosso”); i primi numeri di varietà col nome di “I quattro usignoli” e i primi successi di botteghino con “I’ll Say She Is!”
Nel 1931 “una numerosa parentela assortita di Marx di varia foggia, sesso e misura” si trasferisce in California. E lì continuano le avventure, intrecciandosi alla vita di Hollywood in anni gloriosi. Alla fine, usciremo da questo libro storditi e felici come dopo aver visto uno dei migliori film di Groucho.
In contemporanea, Adelphi dà nuovamente alle stampe anche le “Le lettere di Groucho Marx” (traduzione di Davide Tortorella). Si tratta di capolavori fulminanti, come per esempio quella inviata al grande poeta T.S. Eliot, che gli aveva appena donato una sua fotografia: “Caro T.S., la sua fotografia è arrivata in ottimo stato e spero che questa lettera la trovi nelle stesse condizioni. Non credevo che lei fosse così bello. Se non le hanno ancora offerto il ruolo di protagonista in qualche film sexy, ciò è da attribuire solo alla stupidità dei responsabili del casting.”
Oppure, a un fidanzato della figlia Melinda: “Come va il suo Q. I.? È sempre basso come il giorno che l’ho conosciuta?”. Oppure, ancora, ai Fratelli Warner che gli ingiungono di non usare “Casablanca” nel titolo di un suo film, e Groucho risponde che se i Warner hanno occupato la parola “Casablanca” da prima dei Marx, i Marx hanno occupato, professionalmente parlando, la parola “fratelli” da prima dei Warner; e perciò li diffida dal chiamarsi “Warner Brothers”. Semplicemente geniale.

Marco Di Porto