Il posto della donna

Anna SegreQuando circa un anno fa avevo letto della signora a cui era stato chiesto di cambiare posto in aereo per venire incontro all’esigenza di un viaggiatore charedì di non sedere vicino ad una donna mi ero detta che se fosse successo a me mai e poi mai avrei accettato una simile imposizione, a costo di litigare.
E invece l’ho fatto. Ubbidiente mi sono alzata e sono andata a sedermi una fila più avanti (unico debole tentativo di obiezione: ho chiesto di aspettare fino all’ultimo per essere sicuri che davvero quel posto non fosse occupato). Il meccanismo con cui queste cose avvengono è più sottile di quanto forse si potrebbe immaginare. La coppia di charedim (suppongo marito e moglie) era tutt’altro che ostile, anzi, era gentile e amichevole; entrambi mi hanno rivolto domande sulla mia provenienza e sull’Italia, e inizialmente non avevano mostrato nessun segno di disappunto per la mia presenza accanto a loro (certo, marito e moglie si erano scambiati di posto perché io avessi al mio fianco la moglie, ma dal mio punto di vista erano problemi loro che non mi riguardavano). Solo dopo un po’, quando si è visto che il posto davanti a me era rimasto libero, la signora mi ha chiesto gentilmente di spostarmi per permetterle di stare vicino al finestrino e guardare il panorama. E così in nome della solidarietà tra donne ho accettato un atto di arbitrio contro le donne.
Avrei potuto risponderle: “Si sieda pure vicino al finestrino, che problema c’è? Nessuno glielo sta vietando!”, ma chi ha voglia di mettersi a litigare con sconosciuti su un aereo che sta per decollare? E chi ha voglia di stare seduto dove sa di non essere gradito? Anche io mi sentivo più tranquilla a non sedere al fianco di qualcuno che avrebbe guardato con diffidenza alle caramelle senza timbro kasher che avevo in borsa o al libro che stavo leggendo (curiosamente proprio quello di Maria Teresa Milano sulla voce delle donne nel mondo ebraico). Probabilmente la vicenda che un anno fa aveva suscitato scalpore non è che la punta di un iceberg di un fenomeno vastissimo che nella stragrande maggioranza dei casi si risolve senza clamori con le persone che accettano di buon grado il cambio di posto.
Tanto rumore per nulla, dunque? Non esattamente. Mi torna in mente l’epoca in cui era consentito fumare nei locali pubblici. Per noi non fumatori era una sgradevolissima imposizione, che spesso rovinava il gusto del cibo o di un caffè, e tuttavia nessuno protestava. Ma quando il divieto del fumo è divenuto legge tutti noi (compresi forse gli stessi fumatori) abbiamo tirato un respiro di sollievo. Magari anche la signora che mi ha chiesto di spostarmi avrebbe tirato un respiro di sollievo se fosse stata obbligata per legge a sedere vicino al finestrino senza doversi preoccupare del marito finito accanto a una donna. Capisco che il paragone non è del tutto calzante perché cambiare posto su un aereo o su un pullman non danneggia in alcun modo la nostra salute, eppure dimostra chiaramente come talvolta i vincoli imposti dall’alto possano essere un valido schermo contro un’apparente libertà fatta in realtà di piccole prevaricazioni imposte a chi non osa opporsi o non ha voglia di mettersi a discutere. Non credo sia opportuno auspicare che le compagnie aeree vietino rigorosamente i cambi di posto perché un po’ di flessibilità può fare comodo a tutti. Al contempo, però, mi domando: fino a che punto arriverei per non discutere? Cosa sarei disposta a fare pur evitare attriti? Mi vestirei con le maniche lunghe in agosto per non sentirmi in imbarazzo? Eviterei caramelle e libri compromettenti?
L’accettazione silenziosa della pretesa che una donna cambi posto ci costringe a riflettere su quale sia il posto della donna nel mondo ebraico.

Anna Segre, insegnante

(24 novembre 2017)