ORIZZONTI I nostri silenzi sui perseguitati di «serie B»

Anche se il Papa non ha fatto nomi in Myanmar per ragioni diplomatiche, il popolo dei musulmani Rohingya si è riconosciuto nell’allusione papale all’«etnia» da rispettare, massacrata nella Birmania del Nobel San Suu Kit Di solito il destino dei Rohingya è il silenzio assoluto, con qualche blanda, timida dichiarazione dell’Onu, sulle stragi subite, sul villaggi devastati, sulle esecuzioni capitali a centinaia, sulla pulizia etnica che sta costringendo 600 mila esseri umani, compresi i bambini e gli anziani, a una fuga spaventosa verso il Bangladesh. I Rohingya sono i capofila dei profughi di serie B di cui in Occidente nessuno si cura. Sono i più sfortunati tra gli sfortunati, perché non una lacrima viene versata per loro. Sono le vittime di orribili massacri ma anche dell’indifferenza delle democrazie che esprimono solidarietà a singhiozzo, secondo le convenienze, paladine dei diritti umani a intermittenza. Uno spettacolo indecente di ipocrisia e di retorica magniloquente. Nessun senso di orrore, per dire, per le oltre trecento vittime dell’attentato terroristico di qualche giorno fa in Egitto contro i fedeli sufi di una moschea: qualche sbrigativo comunicato di condanna, e poi il silenzio. E i curdi? I curdi sono stati i nostri coraggiosi alleati per sconfiggere gli orrori dell’Isis. Ora non servono più, e per la legge crudele di una parodia di Realpolitik il loro destino viene affidato ai loro nuovi massacratori, anche qui nel silenzio imbarazzato. Del resto i curdi sono da sempre la vittima sacrificale per eccellenza da decimare e perseguitare nell’indifferenza delle democrazie, da quelli del Kurdistan turco (nella Turchia in cui è ancora proibito parlare del massacro degli armeni) alla popolazione gasata da Saddam Hussein quando Saddam, il tiranno dell’Iraq, non era ancora il pericolo numero uno. Ma è solo il gioco macabro della sorte a determinare come e quanto l’opinione pubblica mondiale debba interessarsi a qualche persecuzione? L’interesse per la sorte delle donne yazide rapite e stuprare in massa dai feroci guerrieri dello Stato islamico è stato mediamente molto tiepido. Un popolo chiamato «Uiguri» è pressoché sconosciuto e pochissimi sanno delle deportazioni a centinaia di migliaia di esseri umani imposte dalla Cina a prezzo di immani repressioni. Del massacro del popolo dei Montagnard da parte del regime comunista del Vietnam si è occupato in Italia soltanto Marco Pannella, anche qui, come al solito, nell’indifferenza generale. Non è lecito neanche parlare del milione di morti provocato nei decenni dall’occupazione cinese del Tibet, i monasteri devastati, i monaci torturati, il Dalai Lama che non deve essere ricevuto nelle cancellerie occidentali per non mettere a repentaglio le buone relazioni economiche con Pechino. A proposito del Darfur, malgrado lo sforzo di qualche star di Hollywood, nessuno si ricorda dei 400 mila morti e degli altri due milioni e mezzo di profughi causati dalla ferocia dei «janjawid», le milizie musulmane spalleggiate e foraggiate dal Sudan, di cui nessuno chiede l’isolamento internazionale. Isolamento che invece viene faziosamente invocato per lo Stato di Israele con una lettura distorta e faziosa del dramma palestinese, senza mai peraltro accennare agli oltre seicentomila ebrei cacciati dai Paesi arabi dopo la nascita dello Stato di Israele e da quest’ultimo accolti a braccia aperte, a differenza dei profughi palestinesi che hanno avuto vita durissima nei Paesi arabi. Oggi il dramma dei Rohingya viene messo alla luce dopo la visita del Papa. Domani sarà di nuovo buio. Il buio, il voltarsi dall’altra parte, lo sprofondare nell’ipocrisia occidentale, senza vergogna.

Pierluigi Battista, Correre della Sera, 29 novembre