Noi ebrei come popolo inferiore

Emanuele CalòSarebbe opportuno fare un cenno ai profili afferenti alla logica, senza però esaurirne in questa sede il contenuto; al riguardo, il nostro punto di riferimento potrebbe essere papa Paolo IV, al secolo Gian Pietro Carafa, la cui bolla Cum nimis absurdum proprio alla illogicità e al suo contrario era espressamente diretta, nell’istituire il (terribile) Ghetto di Roma.
Per gli antisemiti gli ebrei sono un popolo inferiore, accusato al contempo, però, di dominare il mondo. Serve davvero una gran buona volontà per argomentare che un popolo inferiore sia, al contempo, superiore, se non altro perché, nell’ambito della logica, campeggia e primeggia il principio di non contraddizione.
Sovente si tralascia di considerare come vi sia una communis opinio razzista imperniata sul concetto di controllo: gli ebrei controllerebbero l’economia e inciderebbero in modo significativo in quasi tutti i settori dello scibile umano. Appare interessante la selezione dei termini, a copertura di situazioni indesiderate: gli ebrei non spiccano, ma controllano, perché asserire che in determinati versanti possano primeggiare è un concetto inaccettabile: “the pellets of poision are flooding the waters” avvertiva Bob Dylan.
Ne consegue una certa ritrosia da parte degli stessi dodici virtuali milioni di ebrei italiani: i Premi Nobel italiani sono venti, dei quali quattro ebrei (Emilio Segre, Salvatore Luria, Franco Modigliani e Rita Levi Montalcini). Quindi, un quinto dei Nobel, a fronte di una popolazione italiana di circa sessanta milioni, come se la (esigua) popolazione ebraica fosse, per l’appunto, di dodici milioni anziché di circa trentamila persone.
Potremmo quindi trarne spunto per rilevare quanto sia importante l’apporto degli ebrei italiani al progresso del Paese, senza che ciò possa significare che ogni cittadino ebreo debba per forza essere contraddistinto di chissà quali qualità. Tuttavia, il contributo è palese e non si vede per quale ragione lo si dovrebbe celare, quasi che fosse non un merito ma una colpa.
Le teorie razziste/razziali si appellerebbero ad una qualche traccia genetica poiché, anche qui, sarebbe stato imbarazzante ammettere che l’ebraismo, visto come un credo retrivo, sia invece denso di slanci ed aperture; tant’è che, con l’apertura dei ghetti, non vi fu alcuna soluzione di continuità nei riguardi dell’affermazione dei reclusi e segregati. Lo stesso successo di Israele è dovuto all’apertura della società e alla libertà d’espressione e di iniziativa in ogni campo. Karl Popper in qualche modo lo riassunse nei suoi studi sulla società aperta e i suoi nemici, in qualche modo imparentato con gli studi di Erich Fromm, dove il timore della libertà spiega l’origine dei totalitarismi.
L’impegno intellettuale, però, comporta un prezzo altissimo e non a caso in Kohelet 1.18 apprendiamo che la molta sapienza e il molto affanno implicano che chi accresce il sapere, aumenti il dolore; come a testimoniare che nemmeno le osservazioni più impegnative riescono a fugare del tutto nel popolo ebraico, con l’ironia, un antichissimo umorismo, tagliente più d’ogni lama.

Emanuele Calò, giurista