Onu, gli Usa alzano la voce

rassegnaCresce la tensione in vista del voto dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che oggi si esprimerà (presumibilmente a favore) su una risoluzione che boccia il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele. Al centro dell’attenzione le parole dell’ambasciatrice statunitense Nikki Haley, che ha annunciato di essere pronta a prendere nota dei paesi che voteranno contro la linea di Washington.
“Mentre considerate il vostro voto, vi incoraggio a tenere presente che il presidente e gli Stati Uniti lo prenderanno come un fatto personale” ha scritto ieri la Haley in una lettera inviata ai suoi colleghi ambasciatori. Non è il primo scontro, come ricorda tra gli altri La Stampa: “Quando lunedì il Consiglio di Sicurezza aveva votato la risoluzione proposta dall’Egitto per bocciare la decisione di Trump su Gerusalemme, gli Usa si erano trovati completamente isolati. Anche la Gran Bretagna e l’Ucraina, oltre all’Italia, avevano votato contro Washington – si legge – e Haley aveva dovuto usare il veto per bloccare il provvedimento”.
Intervistato dal Corriere, il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin si dice a favore di uno statuto internazionale per Gerusalemme. “Gerusalemme – afferma – è una città unica e sacra per ebrei, cristiani e musulmani. Dovrebbe avere uno statuto speciale che ne faccia una ‘città aperta’, offra assicurazioni di libertà religiosa per i membri delle tre religioni che condividono i luoghi santi e permetta l’accesso ai pellegrini. II cuore della proposta, quindi, è quello di uno statuto speciale garantito internazionalmente”. Radicalmente contrario alla proposta di Trump, il celebre direttore d’orchestra Daniel Barenboim (cittadino israeliano, ma anche palestinese ad honorem) sulle stesse pagine dice: “Di fronte alla decisione unilaterale degli Usa, faccio un appello al resto del mondo: riconoscete lo Stato della Palestina come avete riconosciuto Israele. Non ci si può attendere che due popoli, nemmeno due persone, che non si riconoscono reciprocamente trovino un compromesso. Per una soluzione a due Stati servono appunto due Stati che al momento non ci sono”.

Penosa intervista al Giornale di Emanuele Filiberto, pronipote del re Vittorio Emanuele III. In un passaggio tra i più grotteschi, il rampollo di casa Savoia parla così del bisnonno: “Di lui sono giudicati solo gli ultimi 10 anni del suo operato, ma regnò per 46. Fu responsabile del suo Paese, nel bene e nel male, ma Mussolini andò al potere per volontà del Parlamento e tra i parlamentari ce n’erano anche ebraici. Tutti criticano per le Leggi razziali, che furono una cosa ignobile e insensata. Il re, però, per ben tre volte le rimise davanti al Parlamento. Lui non voleva firmarle”.

Le ultime vicende relative a Banca Etruria hanno riportato nelle cronache nazionali la figura di Marco Carrai, storico amico del segretario del Pd Matteo Renzi. Molti, e in particolare Repubblica, enfatizzano la rete dei suoi rapporti con Israele. “I sussurri dei palazzi romani – si legge – gli attribuiscono un ruolo da kingmaker nelle nomine pubbliche, etichettano il suo interesse per la Popolare di Etruria (o la Federico Del Vecchio, chissà) come un tentativo per togliere le castagne dal fuoco a Boschi e a Matteo. Di sicuro accompagna il premier in visita di Stato in Israele e nella Silicon Valley, accoglie Benjamin Netanyhau in visita privata all’aeroporto di Firenze. Lui si schermisce dicendo di contare poco o nulla”.

La Commissione europea ha attivato contro la Polonia l’articolo 7 del Trattato, previsto per i Paesi che non rispettano i valori Ue e che può sfociare in pesanti sanzioni, per il rischio di violazione dello Stato di diritto da parte del governo in carica. Un provvedimento che potrebbe estendersi anche agli altri paesi del gruppo Visegrad, sempre più contaminati da populismi e nazionalismi vari. Titola Repubblica: “L’Europa parte dalla Polonia nello scontro con l’Est nero”.

Sarà conservato presso l’Archivio di Stato di Mantova il manoscritto trecentesco della Guida dei perplessi di Maimonide proprietà da secoli della famiglia Norsa. Scrive lo storico dell’arte Salvatore Settis, sul Fatto Quotidiano: “Messo in castigo dalla stanca retorica delle privatizzazioni e da riforme a ripetizione, con tanta burocrazia e poco cervello, in zona Beni culturali lo Stato langue. Ma dà segni di vita. Pronta ed efficace è stata, infatti, la reazione degli organi di tutela, non appena si è saputo che rischiava di lasciare l’Italia uno dei più preziosi manoscritti ebraici del Medio Evo, conservato a Mantova sin dal 1516.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(21 dicembre 2017)