ARTE Modigliani, i colori della vita
C’è uno scandalo in città. Così era a Parigi nel 1917 e così ancora cento anni dopo oggi a Londra. I quadri di Amedeo Modigliani continuano a turbare gli animi e il suo profondo, sensuale senso della vita continua a divorare gli sguardi. Se all’inizio del ‘900 fu la polizia francese a chiudere precipitosamente i battenti della prima grande mostra in cui l’artista livornese esponeva i suoi nudi, oggi sulla riva del Tamigi il pubblico si mette ordinatamente in fila e si lascia soggiogare da uno spettacolo che nella sua forza espressiva conosce pochi precedenti. Eppure a cento anni di distanza quei dipinti impressi ormai indelebilmente nell’immaginario delle masse non hanno perso nulla della loro capacità incendiaria e ancora oggi si riesce a capire come mai turbarono tanto gli animi parigini nel 1917. La prospettiva storica, da quella prima combattuta uscita pubblica a questo trionfo forse irripetibile messo ora pazientemente assieme dalla corazzata britannica dell’arte contemporanea, resta un tratto che soprattutto sui corpi turba per il suo tangibile senso di bellezza, resta il segno della tradizione. Modigliani, più di ogni altro, ha attraversato senza scolorire il secolo che ci sta alle spalle. Sbarcò a Parigi nel 1906 pronto, levando le ancore da una Livorno sefardita che gli andava stretta. Entrò con il suo tratto su quello che era allora il campo di battaglia di tutte le avanguardie: la scoperta della corporeità, l’emozione della sensualità. Da allora la spirale rovente della sua vita breve avrebbe continuato a segnare il significato dei sensi e a ricreare l’ideale della bellezza. La grande esposizione della Tate lascia intendere come tutti gli elementi che andavano formandosi nella sua vita di ebreo italiano, le austere forme arcaiche, l’arte classica, l’arte mediterranea e africana, la scultura nel linguaggio modernista e contemporaneamente estraneo al corso della storia, trovarono poi l’occasione di emergere negli anni della boheme a Montparnasse. Le figure verticali delle Cariatidi si allungano nei nudi reclinati, la pietra scolpita che Modigliani affrontava in un impeto ininterrotto per evocare nei volti femminili una bellezza torbida e arcaica raggiunge lo sguardo trasognato, quasi mistico, degli immigrati russi Jacques e Berthe Lipschitz (1916). E quella fisicità che avrebbe in eterno conferito alla sua opera un carattere unico senza mai rinunciare alla dimensione spirituale. Nel 1918 Modigliani, ormai gravemente malato, raggiunge la Riviera francese e volge lo sguardo alla luce mediterranea con una pittura che si fa più sottile e rinuncia alla corporeità. Vengono gli stupefacenti ritratti infantili, il ritorno alle origini. Dopo gli indecorosi infortuni genovesi, quando i carabinieri sono stati costretti a chiudere affrettatamente una mostra in odore di falso e di mistificazione, la Tate Modern offre ora la verità di un Modigliani in ogni sua stagione, nella passione bruciante di una vita di corsa interrotta prematuramente. È una mostra indimenticabile che viene da lontano e che porta ancora molto più lontano, una storia per immagini giocata nella struggente ricerca di un’armonia, di un equilibrio fra l’eternità e il domani, la luce e la disperazione, la passione della bellezza e la bellezza della passione. Una mostra che a 100 anni dallo scandalo del 1917 chiude i conti una volta per tutte con la bestialità dei censori, di coloro che si affannano invano a negare la bellezza e sperano inutilmente di spegnere i colori della vita.
Guido Vitale, Pagine Ebraiche, dicembre 2017